Il paesaggio, per dir così, di una città come Berlino appena successivo alla catastrofe della seconda guerra mondiale è un motivo di fascino noto. Non v’è chi non sia stato emotivamente coinvolto, fors’anche soggiogato dai lugubri documentari russi girati fra le rovine di una città tragica e terribilmente affascinante. Il luogo, il periodo del romanzo d’esordio di Dan Vyleta, sono quelli. “L’uomo di Berlino“, (Longanesi, 2011) offre lo stesso continuum grigio eppure ricco di gradazioni sulla stessa tonalità che le immagini storiche hanno sedimentato nella nostra memoria.
l’uomo di berlino