Pane e Peperoni

pane-e-peperoniConfessione, diario, cronaca di una vita spesso al di sopra delle righe, tutto questo e molto di più è “Pane e Peperoni, una vita on the road” (Ad est dell’equatore, 2012). Continue reading

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L’estraneo di Tommaso Giagni

le28099estraneo-einaudiNel romanzo d’esordio di Tommaso Giagni, “L’estraneo, per Einaudi Stile Libero, il protagonista (e voce narrante)  soffre una sostanziale separazione fra sé e il mondo – tema classico quanti altri mai, la mancata identificazione con un ambiente, una lingua, un modo di intendere le cose, giocata in questo libro tutta all’interno di una città, Roma, fra il suo centro e la periferia.

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English Breakfast

english-sbcEnglish Breakfast” (Sbc Edizioni, 2011) è il primo romanzo della giovanissima scrittrice valtellinese Federica Gianola. Un romanzo che, come afferma l’autrice stessa già nelle prime righe, è folle come una poesia in quanto ognuno può vederci qualcosa di sé“. Continue reading

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“Le 13 cose” di Alessandro Turati

le_13_cose_alessandro-turatiOriginale, imprevedibile e grottesco. Ironico e al contempo velato di malinconia. Il romanzo d’esordio di Alessandro Turati, “Le 13 cose (Neo Edizioni, 2012) ci catapulta nel disordinato, strambo e particolarissimo mondo del protagonista quasi trentenne Alessio Valentino, che, senza più i cardini che imperniavano la sua vita, si muove a passi lenti nelle direzioni più impensabili. Continue reading

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“Cose da pazzi” per Einaudi. Palermo nel quotidiano

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Evelina Santangelo (di cui mi piace ricordare la cura di un libro straordinario come Terra matta) scrive con Cose da pazzi (Einaudi) un romanzo fitto fitto sulla città di Palermo.

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“La cognizione del dolore”

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Come ha precisato Gadda in una sua intervista RAI il titolo “La cognizione del dolore” (Garzanti, 2010) va inteso letteralmente: “cognizione” è quel procedimento conoscitivo che porta ad una determinata nozione. Un procedimento che può apparire amaro, lento, sofferto e può passare attraverso esperienze atroci della realtà. Un titolo che ha in sé un insegnamento morale ed è lontano da ogni sorta di felicità o illusione.

Si arriva al nucleo della storia passando per una descrizione dettagliata del Maradagàl, un paese sudamericano inventato, reduce da una guerra aspra con il Parapagàl. Un artificio che non nasconde nulla, nemmeno gli elementi più apertamente autobiografici. Gadda vuole “intorbidare le acque” ma sono evidenti i riferimenti al nostro paese, al suo privato e il suo Gonzalo non è altro che un alter ego di Carlo Emilio. Un uomo che non sente l’affetto di sua madre, che non ha conosciuto realmente la guerra, come il fratello morto, e cova dentro rancore.  Si trova a raccontare il suo dramma esistenziale, a tratti, al suo dottore, non sopporta la bontà della madre verso i servi che si comportano da parassiti irriconoscenti e soffre una solitudine che non ha eguali.

Gadda non rinuncia all’ironia, sempre presente come negli altri suoi lavori, ma non ammicca al lettore, alcuni passaggi sono ostici e lirici, anche per via di un melange linguistico che unisce spagnolo, italiano e, a tratti, napoletano. Non c’è narrazione in prima persona, non è presente una classica confessione diaristica. C’è solo un meccanismo ben articolato, preciso, congegnato, che non lascia spazio ai sentimenti  incentrandosi prettamente sullo stile, spesso volutamente artificioso e forzato.

Pubblicato a puntate tra il 1938 e il 1941 sulla rivista “Letteratura”, “La cognizione del dolore” fa la sua comparsa nelle librerie solo nel 1963 ed è, oggi, considerato come uno dei libri più importanti del Novecento italiano. Questa ristampa può essere un’occasione importante per conoscere un grande scrittore e un titolo fondamentale.

Carlo Emilio Gadda oltre a “La cognizione del dolore” è autore anche di “L’Adalgisa” e “Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana”. L’intera sua opera è raccolta nella prestigiosa edizione curata da Dante Isella nei volumi della collana Garzanti Novecento.

Autore: Carlo Emilio Gadda

Titolo: La cognizione del dolore

Editore: Garzanti

Anno di pubblicazione: 2011

Prezzo: 12 euro

Pagine: 210

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“Fai bei sogni”

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“Tutti abbiamo una ferita segreta per riscattare la quale combattiamo” scriveva qualche anno fa Italo Calvino e oggi Massimo Gramellini con “Fai bei sogni” (Longanesi), racconta una ferita, fatta di solitudine e amarezza, di lotta contro un mostro e una paura di vivere, una ferita  provocata dalla morte della madre la mattina dell’ultimo dell’anno del 1966.

In quella mattina che rimane fissa ed eterna nella memoria di un bambino come tanti che perde non solo la madre ma anche l’innocenza, facendosi domande che un bambino non dovrebbe mai porsi. Frutto di quelle domande è Belfagor, il mostro che cova dentro il suo animo, un rancore istintivo nei confronti della vita che lo fa affondare ogni qual volta cerca di respirare. Un percorso lungo che passa per una narrazione semplice e scorrevole, mai pietistica che ci restituisce un libro importante, non tanto per la sua natura biografica, ma quanto per la riflessione intima e struggente sul dolore, dolore che spesso tendiamo a dimenticare, dolore che il piccolo Massimo vive inseguendo figure materne spesso inadatte o trincerandosi dietro grandi silenzi, dolore che diventa cemento per le solide fondamenta del Massimo Gramellini che conosciamo oggi che ha sempre trattato la vita con intensa leggerezza.

I tratti narrativi dell’autore si confermano coinvolgenti e sinceri, non c’è la voglia di trattare la vicenda personale come un noir, strada intrapresa purtroppo da molti, ma c’è la volontà di mettere un punto e di condividere un pezzo importante della propria vita trasformandola in narrazione collettiva, perché “Fai bei sogni” è  un libro che racconta l’Italia che eravamo e quella che siamo diventati, un libro che ci spiega la sottile differenza tra il male di viver e la paura di vivere, che congela amore e sentimenti, paure e sogni, perché la paura di non essere amati taglia le gambe al futuro.

Le passioni di Gramellini,  come il Torino, i Police, la lettura e quella casa davanti allo Stadio sono l’anagramma emozionale del nostro pensiero e ci riconsegnano la dignità del dolore e di un percorso di vita fatto di ricerca per comprendere la radice e la causa per cui quella morte brucia come una ferita ancora aperta, una ferita che solo altro amore ha saputo sanare.

Si arriva a provare una buffa nostalgia alla fine del libro, un positivo afflato del cuore che ci rimane attaccato alle mani, agli occhi e ci fa capire meglio chi siamo e quanto dolore spesso mettiamo da parte, sacrificato all’altare delle virtù e del pubblico rispetto.

La verità per Massimo Gramellini la troverà in una busta gialla, in un ritaglio del quotidiano dove oggi è vicedirettore, la verità per quel bambino è la spada che riesce ad uccidere Belfagor.

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Dieci piccoli passi

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Tempo fa mi arrivò un libro, Dieci piccoli passi (Edizioni La Gru, 2011), di un giovane autore, Francesco Pierucci, che misi da parte per qualche tempo per poi leggerlo tutto d’un fiato.

Poi sono passati altri mesi  e mi è tornato tra le mani. Ho pensato: “mi sono dimenticato di recensirlo eppure mi era piaciuto e anche molto”.

Mi dico: “la farò ora”. Non ne sono stato capace, non ricordavo le sensazioni che avevo provato nel leggerlo. Senza di esse non ne sono capace, di scrivere.

Allora l’ho riletto e inizio a ricordarmi tutto, pagina dopo pagina.

“Quant’è bravo questo Pierucci, eppure ha poco più di venti anni”. A questo penso mentre mi divoro i dieci racconti.

Di solito non amo queste raccolte, preferisco i romanzi. Ma qui è diverso. C’è qualcosa che ti cinge lo stomaco, il respiro breve del racconto diventa un’arma che ti colpisce alla schiena, silenziosamente.

Come un’ombra pesante e nera un senso fortissimo di solitudine è calato dall’alto divorando ossigeno e oggetti, storie e persone.

Ogni personaggio si traduce in un meccanismo perfetto: come in una scatola cinese, ogni scomparto produce altre scatole. Ogni personaggio è la chiave di senso per gli altri personaggi.

Come tanti numeri primi personaggi veri, verosimili, fantasiosi rivivono una Napoli che non smette mai di respirare, una Napoli che brulica di vita, di storie e di storie di vita. Una Napoli in cui un ragazzo può sconfiggere un boss della mafia. Una Napoli in cui si soffre e si ama, in cui si è uguali agli altri e in cui si è diversi. Una Napoli delicata anche quando è la cronaca – che è storia presente – a prendere il sopravvento, anche quando lo sporco sembra macchiare irreversibilmente.

Mi vengono altri pensieri ma sono vaghi. Anzi no: sono squisitamente semplici. Come semplici sono questi racconti. Come semplice in fondo è la quotidianità – a volte persino perversa – che ci racconta l’autore.

Francesco Pierucci nasce a Napoli il 21 novembre del 1989. Dopo aver conseguito il diploma classico si trasferisce alla Iulm di Milano. Attualmente frequenta il terzo anno. Ha vinto la Targa Apice al merito poetico 2010 ed è presente con le sue opere all’interno delle raccolte Il sogno (Poesiaerivoluzione 2010), Luoghi di parole (Aletti Editore, 2010) e Limes-confini (150strade, 2010).

Autore: Francesco Pierucci

Titolo: Dieci piccoli passi

Editore: Edizioni La Gru

Anno di pubblicazione: 2011

Prezzo: 14 euro

Pagine: 104

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