Brand’s Haide di Arno Schmidt (Lavieri, 2011) è un testo, che mi piacerebbe portare all’attenzione dei teatranti e dei registi, di uno scrittore ancora troppo sconosciuto che ha sperimentato una scrittura del/al limite che trascende la pagina scritta. Siamo nella Germania del 1946, Schmidt scampa miracolosamente al peggio e trova rifugio in un piccolo paesino ospite di un’insegnante della scuola locale. Qui comincia delle ricerche su Fouqué, uno scrittore del romanticismo su cui sta scrivendo una biografia. Continue reading
Consigli di lettura
“L’ultima conversazione”
Cinque interviste a Roberto Bolaño, una non breve introduzione di Marcela Valdes centrata essenzialmente su 2066, il libro maggiore dell’autore assieme a I Detective selvaggi, un lucido saggio finale di Nicola Lagioia: questo il materiale che costituisce L’ultima conversazione, quinta uscita della collana SUR, pubblicazione che minimum fax dedica alla letteratura sudamericana fra l’Onetti de Gli addii e il Ricardo Piglia da La respirazione artificiale.
Un’occasione per entrare nel mondo (mai totalmente distinguibile nel suo moto pendolare fra vita e letteratura) dell’amato scrittore cileno. Sfrondando il discorso dal mito che negli ultimi tempi impedisce ragionamenti pacati sullo scrittore, è preferibile restare al dettato terra-terra su ciò che in effetti in queste interviste dice, non senza notare il voltaggio febbrile che fa oscillare le sue parole dalla tensione idiosincratica di un’urgenza fisica pressante – solo in parte probabilmente dovuta alla malattia che lo avrebbe portato alla morte anzitempo – e la visionarietà che gli consentiva di guardare alle più lontane latitudini, terrestri e letterarie, con uno sguardo simultaneo capace di dare le vertigini – i lettori dei suoi romanzi lo sanno bene. Le interviste (traduzione di Ilide Carmignani) coprono un arco di cinque anni, gli ultimi, per cui non può mancare la ormai celebre “Ultima conversazione” pubblicata pochi giorni dopo la sua morte.
Nota in Bolaño la conoscenza vasta delle letterature mondiali – se si può dir così – e non solo della tradizione latino-americana. Egli ci tiene peraltro a sottolineare che a suo avviso quella spagnola e quella sudamericana non sono letterature separate e che Borges è il più grande autore di lingua spagnola dai tempi di Quevedo – laddove Kafka sembra essere un vertice assoluto. Bolaño ricorda che al Messico deve la sua formazione intellettuale, alla Spagna quella sentimentale. E che leggere – in questo davvero degno nipote di Borges – sia più importante che scrivere. In tutte le interviste si percepisce l’atteggiamento di Bolaño, uno scrittore in grado di parlare di molte cose ma sempre senza sussiego – con quello spirito che non lo abbandonò sino alla morte, mutuato da una giovinezza d’avanguardia, da neoDada sudamericano.
Per Bolaño (e ancora prima per Borges, ancora) l’oblio è il destino che attende tutti noi. Ovvio, si dirà, ma non se questo sapere lo fai diventare carne e sangue della tua vita. Ricorda Lagioia nello scritto finale che è qui che l’ammirazione di Bolaño verso Garcia Marquez e Vargas Llosa sembra slittare dentro un buco nero di dubbi, che concernono non tanto il valore delle loro opere (o di alcune di esse) ma il passo un po’ monumentale con cui i due più celebrati scrittori sudamericani viventi si avvicinano alla morte: nella viziosa illusione di resistervi, sperando in una canonizzazione da consegnare all’eterno.
In questo scarto, nell’oscillazione inesauribile fra una concezione della letteratura mai marginale o esornativa (cui non è estraneo infatti il lavoro immenso, la fatica immaginabile che sta dietro all’opera di Bolaño, e, si capisce, l’esito effettuale della stessa) e l’agrodolce consapevolezza della finitudine in grado di stornarle, entrambe, vita e letteratura, dalle sue pretese enfatiche, con tutto il rischio della vacua retorica che si diparte per li rami, in questo combinazione magistrale sta un po’ la polpa, il sapore di queste interviste. Non a un cattedratico, o a un entartainer ma a uno scrittore vero che avrebbe voluto essere uno sbirro, o una canaglia.
Autore: Roberto Bolaño
Titolo: L’ultima conversazione
Editore: Sur
Anno: 2012
Pagine: 124
Euro: 14.00
“Cose da pazzi” per Einaudi. Palermo nel quotidiano
Evelina Santangelo (di cui mi piace ricordare la cura di un libro straordinario come Terra matta) scrive con Cose da pazzi (Einaudi) un romanzo fitto fitto sulla città di Palermo.
“Oro”: terza raccolta di poesie per Renata Boselli
Oro, è la terza raccolta della poetessa Renata Boselli. Il volume è diviso in due sezioni Giuggiole e Due. Il motivo ispiratore della raccolta è il rapporto uomo/donna vissuto dal punto di vista femminile. Renata, in una serie di mirabili frammenti ci narra, passo dopo passo, la cronistoria del suo amore vissuto nelle più intime pieghe. Continue reading
Topol e l’Officina del diavolo
Il nome che hanno utilizzato per lui – la critica sente sempre il bisogno di farlo – è Hrabal. Che è un riferimento impegnativo, evidentemente, trattandosi dell’autore più importante del secondo novecento ceko. Non so, certo Jachym Topol si difende benissimo. Ancora in banale metafora, attaccando. Sì perché L’officina del diavolo, breve ma esuberante romanzo tradotto da Zandonai, è un fiume in piena di invenzioni e funamboliche ricostruzioni di un mondo impazzito: nella realtà storica e nella sua delirante, raccapricciante rappresentazione successiva.
Eccetto Topolino: fascismo e fumetti
Eccetto Topolino (Lo scontro culturale tra Fascismo e Fumetti), volume di grande formato, ricchissimo di illustrazioni a colori e in bianco e nero, lettere, circolari, interviste, veline di regime, edito da Nicola Pesce Editore, firmato da tre autori, Leonardo Gori, Sergio Lama e Fabio Gadducci, è uno studio serissimo, una ricostruzione capillare di una vicenda storica significativa della storia culturale italiana.
Non casualmente il lavoro è promosso da uno storico come Mimmo Franzinelli che del fascismo è uno studioso attento, sensibile anche a tematiche di solito non troppo frequentate dagli storici accademici, come quelle delle culture pop. Scrive nella sua breve introduzione: “Questo fondamentale libro […] resterà negli annali del fumetto italiano come l’opera che ha segnato il passaggio dall’interesse collezionistico alla ricostruzione storica.”
Tre sono sostanzialmente le zone investigate dagli autori, mossi dall’obiettivo di esaurire la lettura di una vicenda meno semplice di quanto non si possa immaginare. Le fortune e le cadute difformi del fumetto americano in epoca fascista erano provocate da più fattori. Intanto, i tre studiosi hanno fatto i conti con lo sviluppo del mercato editoriale dell’epoca, dall’esperienza di Nerbini, considerato “il vero padre fondatore del fumetto in Italia”, a Mondadori; il secondo aspetto verte sull’incontro-scontro degli editori che intrecciavano le loro ragioni e interessi con quelle del regime, e del suo massimo ufficio culturale, il Ministero della Cultura Popolare (con un’insinuante presenza di fattori privati legati a predilezioni particolari di uno o l’altro esponente del fascismo); infine, viene investigato il ruolo non secondario giocato in questa complessa partita dalle agenzie di stampa americane.
Ricostruzione seria vuol dire utilizzo degli archivi, nel caso specifico quello di Guglielmo Emanuel (dopo la seconda guerra direttore del Corriere della Sera), e degli Archivi di Stato. Importante il ruolo di personaggi di non secondo momento come Cesare Zavattini, o del filosofo Gentile, nonché la presenza tutt’altro che occulta e immancabile della Chiesa Cattolica, sempre pronta ad allungare le mani sui processi pedagogici della gioventù italiana, che allestisce da par suo un periodico gradito al fascismo, Il Vittorioso, che nel nome come spesso accade chiude in cifra il destino della sfida nella fase terminale della dittatura decisa a sfasciare il paese.
In linea generale, possiamo parlare di un primo periodo in cui la ricettività non è priva di contraddizioni – Topolino appare in edicola nel 1932 Topolino – ma che impone il fumetto come uno dei luoghi privilegiati della cultura di massa (assieme alle riviste illustrate e alla stampa sportiva).
Lo scarto radicale vi sarà nel 1938, ma anche da quel momento in avanti non si può parlare di censura pura e semplice. Ché, giusto il titolo, se i comics americani cominceranno ad avere vita dura in Italia, un’eccezione verrà fatta per Walt Disney, segnatamente per le vicende legate al topo più famoso della storia.
La leggenda vuole che Mussolini in persona si fosse opposto all’idea di sopprimere Topolino. Cosa non semplice, marcandosi con gli anni una distanza sempre più netta fra l’ideologia fascista e certe istanze roosveltiane adombrate nel fumetto. Ma anche Gentile, e Ciano, non convergono del tutto con l’acribia censoria del Minculpop, un po’ come accadeva con il bigotto ostracismo verso il jazz e i gialli (il pericolo di innamorarsi di un gangster…). A un passo dalla dichiarazione di guerra degli Stati Uniti, la situazione precipita. La cosa curiosa è con Badoglio il bando verrà confermato. Non ne raccontiamo lo svolgimento, perché il libro merita una lettura completa: si potrà scoprire come persino le vicende private, familiari dei gerarchi potranno influenzare le sorti di questo scontro.
Autori: Leonardo Gori, Sergio Lama e Fabio Gadducci
Titolo: Eccetto Topolino (Lo scontro culturale tra Fascismo e Fumetti)
Editore: Nicola Pesce editore
Pagine: 432
Prezzo: Euro 35
“Credevo bastasse amare”
Ci sono libri che scivolano sulle dita quasi indifferenti e libri che trasudano emozioni dalla prima all’ultima pagina, lasciando nell’anima traccia indelebile del loro passaggio. “Credevo bastasse amare“, romanzo-verità che segna l’esordio di Alessio Masciulli, appartiene a questa seconda categoria. E’ la storia, reale, di un amore spezzato da una tragica fatalità e del faticoso percorso intrapreso dall’autore verso la riconquista di una serenità interiore. La storia comincia qua, su una piazza di questa città ai confini del mare. Pescara. Una sera di giugno 2006. Continue reading
Picasso e la creatività artistica
Uno tra i più grandi artisti dell’arte del ‘900, preso come punto di riferimento per analizzare il profilo stereotipico dell’artista. “Picasso allo specchio. Alle origini della creatività artistica” (Edizioni Ating art, 2002) di Ruggiero Sicurelli, intende ricercare le conclusioni per cui genio e sregolatezza suscitano tanto ammirazione. Voglia di libertà, sotto ogni aspetto, passando attraverso il disprezzo per ogni debolezza umana. Continue reading