Gianluca Miligi, responsabile editoriale della rivista “Filosofia.it”, ha studiato Filosofia e Filosofia del diritto a Roma. L’abbiamo intervistato su “Laicità e filosofia” (Mimesis, 2010) da lui curato insieme a Giovanni Perazzoli.
Come è nata l’idea di un volume su “laicità e filosofia”?
“Dall’incontro del nostro interesse al tema, cui da tempo diamo spazio sul sito www.filosofia.it, con la proposta di Luca Taddio di Mimesis Edizioni di realizzare un volume per nuova la collana “Quaderni Loris Fortuna”, collana che significativamente porta il nome del deputato socialista che fu il principale promotore della legge sul divorzio. Riprendendo il confronto sul tema della laicità tra Claudio Magris e Emanuele Severino sulle pagine del «Corriere della sera», che nel volume figura come Prologo, si è quindi presentata a me e a Giovanni Perazzoli un’ottima occasione per approfondire un questione complessa, il “rapporto” tra laicità e filosofia, davvero cruciale ma purtroppo poco indagata, nonostante il notevole numero di libri che negli ultimi 15 anni sono stati dedicati alla laicità e dintorni. Tanto parlare di laicità e spesso a sproposito, per slogan o pregiudizi, su giornali e in programmi televisivi, senza però che la filosofia si mostrasse come un contributo decisivo per la sua analisi. Possiamo in questo senso dire che la laicità è una “sfida per il pensiero” ma anche che il pensiero è una “sfida per la laicità”, in quanto di quest’ultima ne interroga il senso più radicale.
Ciò non significa che nel libro unanimemente si sostenga la necessità di un concetto filosofico di laicità o della laicità come filosofia: i contributi che lo compongono, infatti, esprimono tesi e orientamenti diversi (organizzati in tre sezioni): abbiamo coinvolto pensatori del calibro di Severino, Sasso, Vattimo, Rovatti, Rusconi e molti altri, proprio per riuscire ad avere un quadro articolato, ma in ogni caso “forte”, che potesse essere da stimolo a ulteriori riflessioni.”
Gianluca Miligi, laico e non credente. Un pleonasmo, o una questione ancora aperta?
“Direi né un pleonasmo né una questione ancora aperta, piuttosto una questione da chiarire nei suoi termini. In primo luogo ci si deve intendere sul significato di “laico”: infatti, se con il termine s’intende (in epoca moderna) colui che sostiene la necessità della laicità delle istituzioni, la separazione dei princìpi del diritto, costituzionale e legislativo, e della politica da quelli della religione – nel nostro caso cattolica – e dalla sua auctoritas, si può ben essere laici e credenti insieme. Se invece con “laico” s’intende chi svolge una critica filosofica decostruttiva della metafisica, metafisica mediante cui si pretende di giustificare il predominio di un Assoluto nel mondo degli uomini, delle opinioni dei “mortali”, che sia etico, politico eccetera, il discorso cambia. Qui il laico è, a nostro giudizio, “laicista” nel senso che si pone sul piano, diverso, di una concezione antimetafisica e antiautoritaria (critica di quella auctoritas che deriverebbe da un principio assoluto, dalla Verità trascendente divina). Il laicista, che è conseguentemente laico nella prima accezione, non può essere, al tempo stesso, portatore di una fede giustificata dalla teologia razionale: proprio perché essendo laico-laicista è anche antiteologico. Ciò può anche non escludere, però, che su un piano diverso egli possa essere in corde suo credente ossia avere una fede come puro sentimento, mistica, di adesione al divino: cosa che a me risulta difficile comprendere, ma di cui non nego la possibilità.”
Ciancio e Vercellone sostengono, nei loro contributi al volume, che fede e laicità siano tutt’altro che incompatibili. Potremmo immaginarlo un cardinale laico? Del resto Lei ha definito Vito Mancuso, intellettuale cattolico, un “teologo laico”.
“Dalla mia prospettiva risultano sostanzialmente incompatibili. Sono quindi distante da Ciancio e Vercellone, ma rimando alla lettura dei loro saggi perché offrono comunque un approccio filosoficamente interessante. Se sia poi possibile immaginare un “cardinale laico”, sul piano dei princìpi (nella storia c’è persino chi indossando la toga cardinalizia dichiarava senza problemi non la sua laicità, bensì il suo ateismo!) bisogna dire che pensando la sua laicità “all’interno della Chiesa” si dà luogo chiaramente a un ossimoro, considerato che la Chiesa è anche uno Stato interamente fondato su una religione, uno Stato confessionale. Se con l’attributo “laico” intendiamo, invece, che accoglie le ragioni della laicità della Repubblica italiana, allora sì, ma non sarebbe nient’altro che un sostenitore, da una posizione particolare, della separazione di cui sopra: un cardinale “illuminato”, potremmo dire.
Sul caso di Vito Mancuso: egli stesso presenta la sua concezione in termini di “teologia laica” e il suo senso è possibile ritrovarlo solo leggendo i suoi libri e conoscendo le sue tesi, non a caso guardate quantomeno con diffidenza, se non con aperta ostilità, dai teologi “ufficiali” della Chiesa cattolica. Mi sembra che intorno al senso forte e attuale del messaggio cristiano, egli sostenga che questo non può darsi, o almeno non del tutto, nei dogmi della Chiesa cattolica: è il mondo invece a essere, come dichiara Mancuso stesso, l’“interlocutore privilegiato”.”
Vattimo critica aspramente i tentativi della Chiesa cattolica di influenzare la politica per ottenere l’emanazione di leggi vincolanti in sintonia con i propri valori. Tuttavia questo comportamento sembrerebbe tipico anche dei laici, i quali non di meno operano per la promulgazione di leggi di loro gradimento (si pensi ad esempio alla legge sull’aborto, voluta in nome della “libertà della donna”). Il legame ai cosiddetti “valori” non sembra essere prerogativa delle chiese.
“C’è innanzi tutto una differenza che va tenuta ben ferma: la Chiesa cattolica nei suoi tentativi di influenzare l’emanazione delle leggi opera secondo l’assunto per cui i princìpi della religione sono verità che devono essere tradotte in termini giuridici. La legge diventa così nient’altro che la mera codifica e il mezzo di applicazione di qualcosa che pertiene alla dimensione del trascendente. E inoltre, la Chiesa influenza da organizzazione confessionale istituzionale di un altro Stato, il Vaticano: nega quindi da una posizione totalmente “esterna” il principio della laicità, chiaramente riconosciuto nella nostra Costituzione e ribadito da una famosa sentenza della Corte Costituzionale (n. 203 del 1989). Apro una parentesi per consigliare l’approfondimento del tema, che peraltro presenta punti controversi, con la lettura del recente volume di Michele Ainis, Chiesa padrona. Un falso giuridico dai Patti Lateranensi a oggi.
Ma torniamo al punto: la Chiesa cattolica non è un’insieme di cives, di cittadini, che in quali tali e “geneticamente laici” sono i soli soggetti che hanno legittimità a delegare rappresentanti in Parlamento o ad agire come società civile per favorire la promulgazione di leggi di vario genere e contenuto: non mi pare vi sia nulla di strano se ognuno di noi opera in questo senso. Riguardo la legge 194 sull’aborto o, meglio, sull’“interruzione volontaria di gravidanza”, si deve ricordare almeno che non è stata una legge approvata esclusivamente in Parlamento: ha avuto infatti l’avallo dalla volontà popolare, della maggioranza dei cittadini mediante un importante referendum (prima del quale c’è stata una lunga storia di maturazione).
Ancora qualche rapida considerazione per completare le risposte alle sue domande. La prima: ma perché, in un Paese in cui tutti si dànno la patente di liberali, c’è sempre una resistenza ideologica o “viscerale” ad accettare leggi che non impogono nulla ma che – si pensi anche a quella sul divorzio del citato Loris Fortuna – ampliano la libertà di decidere dei singoli individui-cittadini estendendo i loro diritti? Perché dare a me la possibilità di godere di un diritto che non esclude il tuo e che non obbliga te a determinati comportamenti crea dei problemi? Mi ha sempre preoccupato proprio l’antiliberale e antilaico atteggiamento di chi opera per impedire ad altri possibilità di scelta che non si condividono. Se vogliamo ridurre la questione ai suoi termini essenziali: leggi per affermare delle possibilità versus leggi per negare possibilità. Qualcuno potrebbe obiettare che così si infrangono leggi divine, la sacralità della vita umana. Innanzi tutto è evidente che questo è un principio religioso metafisico che di fatto non tutti i cittadini accettano. Non dimentichiamo poi che sarà eventualmente il singolo che commetterà sacrilegio, peccato o quel che si vuole, non la legge o lo Stato: e l’individuo risponderà di fronte ad un Tribunale che non è quello degli uomini, per chi vi crede.
Una battuta, in chiusura sulla questione dei valori. I valori non sono certo prerogativa delle Chiese, ma direi, meglio, neanche delle religioni: i non credenti non avrebbero valori, come peraltro qualcuno tende a fare credere? È insensato sostenerlo. Il valore è qualcosa che si sceglie e si assume come ciò che “dovrebbe” essere e orientare la propria vita e quella degli altri. In questo senso non è un dogma e non può avere alcuna “deduzione metafisica”: i valori allora, come ha insegnato Max Weber sono la moderna versione del politeismo e, in accezione neutra, di ogni forma di ideologia.”
Ha scritto che “si può in fondo ben capire il non dichiarato, ma ineliminabile, fascino che la Chiesa cattolica subisce da parte dell’islamismo”. Dove individua questo “fascino subìto”?
“Se si vuole rispondere in maniera provocatoria si può dire che il fascino trapela “psicoanaliticamente” anche dalla costante e sottile – non becera come quella esibita da alcuni politici o cittadini – avversione che la Chiesa cattolica mostra nei confronti dell’Islam. Ma per essere più diretti e sintetici: l’obiettivo della Chiesa, anche in base alle cose dette in precedenza, non è forse quello di una sempre maggiore penetrazione in campo giuridico, etico, sociale dei princìpi della religione cristiano-cattolica? Penso sia difficile negarlo, anche perché è per molti versi connaturato alla sua fisionomia. Allora, in questo senso teologia politica e “società cristiana” sembrano essere due aspetti, complementari, consustanziali alla missione e alla dottrina della Chiesa. E chi ha realizzato in alcuni Paesi la piena fusione della sfera religiosa e della sfera civile se non l’Islam (con tutte le differenze del caso e senza pensare alla Repubblica islamica iraniana)? In passato anche la religione cattolica, negli Stati teocratici, si è approssimata a questo telos. Da perseguire con mezzi diversi, imposti dal cammino della storia, dal mondo moderno, esso permane in ogni caso nelle aspirazioni della Chiesa.”
Perazzoli sottolinea che per Miligi la celebre affermazione evangelica “Date a Cesare quel ch’è di Cesare, e a Dio quel ch’è di Dio” (Lc 20,25) “ha il difetto, per la prospettiva laica, di costituirsi come un fondamento teologico della laicità”. Perché un “difetto”?
“Lo si è chiamato “difetto” ma lo si può qualificare anche come negazione della prospettiva laica. E mi sembra piuttosto chiaro: è la sentenza del figlio di Dio, quindi una sentenza in senso lato teologica, che prescrive di distinguere “ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio”. Detto in altro modo, è la Verità divina rivelata che separa da sé stessa la sfera politica, prescrivendo il duplice “dare” e delimitando i confini di ciò che appartiene al governo dell’uomo.”
Prologo del libro, vi accennava prima, è la disputa avutasi tra Claudio Magris ed Emanuele Severino sul «Corriere della sera». Aprés coup, possiamo dire che la laicità sia una prassi (Magris ne parla come di un atteggiamento, una forma mentis) o piuttosto una teoria (sulla linea di Severino, per il quale “laicità significa filosofia”)?
“Si può rispondere approssimativamente in questo modo: è un principio che, indagando il mondo delle doxai, delle opinioni, e la sua struttura relazionale di elementi parziali, limitati, determinati, guida una prassi che si traduce in termini giuridico-costituzionali. Quindi non è né una prassi, né una teoria poiché sia l’una che l’altra si costituiscono e svolgono nell’ambito delle opinioni, sono “opinione”, ossia ciò che per sua natura è negabile e quindi, in ultima analisi, controvertibile. Per essere ancora più precisi, la laicità può allora essere considerata uno status riconosciuto in termini di diritto, ma anche etici, a partire da una rigorosa concezione antimetafisica della doxa.”
Lei distingue tra laicità e laicismo e anzi colloca il laicismo “tra laicità e filosofia”. Cosa vuol dire?
“Veniamo con questa domanda un po’ al cuore del mio contributo per il libro Laicità e filosofia: potrei dire con una formula che il laicismo è il senso filosofico della laicità. Ciò che ha spinto me e l’amico co-curatore Giovanni Perazzoli a collezionare i vari contributi sotto questo titolo è vedere da vari punti di vista se vi sia, e eventualmente di che tipo, un rapporto tra di esse. Se la laicità fosse radicalmente separata dalla filosofia, la laicità stessa risulterebbe un’opinione o valore, come altri potrebbero dire, da affermare e sostenere o da negare e contrastare: dipenderebbe quindi da una questione di sensibilità o di “visione del mondo”, senza che in un senso o nell’altro vi siano argomenti forti al fondo delle due tesi. Allora, se la laicità non è solo uno status ma esibisce uno statuto filosofico, bisogna andare a vedere come possa essere in qualche modo “dedotta”: questa è la strada che ho intrapreso. E che non giunge però alla conclusione che la laicità sia un concetto di natura esclusivamente giuridica e nemmeno che laicità e filosofia siano la medesima cosa o che quella sia solo un altro “nome” della filosofia. Il laicismo, come ho scritto, ha una natura bidimensionale: è precisamente quella critica di matrice filosofica alla metafisica che mi pare consenta di individuare la “necessità” della laicità, che si esplica poi su vari piani del mondo doxastico: giuridico, politico, etico.
In questo senso la filosofia non si riduce totalmente al laicismo e questo non è una delle molteplici doxai, cosa che invece è la laicità se “lasciata a sé stessa”. Ho perciò parlato del laicismo come di un paradosso, ossia di una doxa-limite che afferma la relatività e controvertibilità di tutte le opinioni, compresa sé stessa. In quanto tale essa ricomprende allora l’immediata obiezione che le si può rivolgere contro – “Anche questa tesi è relativa e controvertibile” – poiché il paradosso dice anche questo. A maggior ragione, poi, confuta, evidentemente, la tesi stessa dell’esistenza di un assoluto in ambito doxastico: ed è a partire da qui che si apre la dimensione della filosofia vera e propria.”
Gianluca Miligi, responsabile editoriale della rivista online Filosofia.it, ha studiato Filosofia e Filosofia del diritto a Roma. Ha scritto articoli e saggi filosofici per varie riviste, tra cui La Cultura e Novecento. Dal 1999 lavora come programmista regista a Rai Educational, dove ha curato il documentario “Televisione e Internet: ne parlano i filosofi” e cicli di interviste-lezioni per il progetto “Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche”.
Giovanni Perazzoli dirige Filosofia.it ed è tra collaboratori di MicroMega. Ha studiato a Roma, a Friburgo, all’Istituto per gli Studi Storici di Napoli e a Pisa, dove ha conseguito il dottorato di ricerca in Filosofia. È stato programmista regista e autore testi per Rai Educational, per l’Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche e per il programma “Il Grillo”. È autore di saggi filosofici e politici in varie riviste. Vive e lavora tra l’Italia e l’Olanda.
Curatori: Gianluca Miligi e Giovanni Perazzoli
Titolo: Laicità e filosofia
Editore: Mimesis
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 15 euro
Pagine: 175