“Melancholia” (Fandango libri, 2009) di Jon Fosse, massimo scrittore norvegese vivente, è un libro decisamente suggestivo, capace di avvolgere nel suo folle vortice di parole il lettore che rimarrà sconvolto.
Sconvolto dal costante gioco di luce ed ombra, di bianco e nero, di calma e turbamento che caratterizza il flusso della narrazione. Pubblicato per la prima volta in Italia lo scorso ottobre, a quindici anni circa dalla sua uscita in patria, questo libro ha ottenuto, giustamente, un ottimo riscontro in numerosi paesi, diventando, ben presto, un’opera di culto.
“Melancholia“, composto dal dittico “Melancholia I” e “Melancholia II“, è incentrato sulla figura di Lars Hertervig, uno dei più grandi pittori norvegesi dell’Ottocento, allievo di Hans Gude presso l’Accademia delle Belle Arti di Düsseldorf, morto povero e incompreso a causa dei disturbi nervosi di cui aveva iniziato a soffrire in Germania, che gli costarono l’internamento nel manicomio di Gaustad. Fosse, però, invece di proporre una biografia come tante, decide di dare libero sfogo alla malattia psicotica di Hertervig, scrivendo di essa, raccontando gli avvenimenti dal punto di vista ossessivo e visionario del pittore norvegese.
Così, soprattutto in “Melancholia I” è la graduale perdita di lucidità ed il susseguirsi incessante di pulsioni e allucinazioni a caratterizzare la narrazione, in una sorta di monologo interiore del pittore sofferente. Nell’ultima parte di “Melancholia I“, come anche in tutta “Melancholia II“, sebbene siano costanti i riferimenti a Hertervig, i protagonisti diventano Visne, lo scrittore di evidente ispirazione autobiografica, e la sorella del pittore, Oline. Proprio quest’ultima, ormai vecchia e in fin di vita, ci regala, attraverso un continuo intreccio di flashback sbiaditi, stralci di rara poesia descrivendo la “particolare unicità” dell’animo di Lars: “E guardo su il cielo e vedo le nuvole muoversi nel cielo, nel loro azzurro chiaro, e guardo il cielo nel suo azzurro più scuro e il mare è pieno di movimenti bianchi e penso che Lars è come il mare e il cielo, sempre cambia, dalla luce al buio, dal bianco al nero più nero, anche Lars è così, proprio come il mare, penso…“.
Attraverso una scrittura basata sulla ripetizione ossessiva, variata solo in piccoli aspetti, che si avvolge su se stessa come una spirale, dissipando qua e là frammenti di lucidità nel buio terrificante della sofferenza esistenziale, Fosse riesce, allora, a regalarci un libro indimenticabile, in grado di far emozionare il lettore più sensibile di fronte al dramma esistenziale di un genio quale fu Lars Hertervig. Come se non bastasse, un plauso meritato va anche alla traduttrice Cristina Falcinella, che riesce, con successo, a riprodurre il lirismo straziante e la ripetitività cantilenante che erano nelle intenzioni dell’autore norvegese.
Infine, merita un appunto particolare la copertina del libro: splendida e particolarmente fortunata risulta essere la riproduzione di “Borgoya“, uno dei dipinti migliori di Hertervig, nonché fonte principale di ispirazione del romanzo di Jon Fosse.
Jon Fosse è il massimo autore norvegese delle ultime generazioni e deve la sua reputazione internazionale soprattutto alla sua opera teatrale, ormai ampiamente nota anche in Italia. La sua prima pièce, “Et jamais nous ne nous séparerons“, risale al 1994. Ne sono seguite numerose altre fra le quali “Le Nom” (1995), “Quelqu’un va venir” (1996), “L’Elfant” (1997) e “Un jour en été” (1998), create e messe in scena al Norske Teatret di Oslo nel 1999. Ha ricevuto il Premio Ibsen nel 1996. Se il suo teatro è ormai abbastanza noto, il suo lavoro narrativo, che vanta svariati titoli, rimane purtroppo ancora sconosciuto in Italia.
Autore: Jon Fosse
Titolo: Melancholia
Editore: Fandango Libri
Anno di pubblicazione: 2009
Prezzo: 20 euro
Pagine: 391