Mauro Corona nell’incontro del 15 gennaio scorso a Genova ha discusso poco de “Il canto delle manére” (Mondadori, 2009). Il bizzarro autore ertano ha parlato della sua visione della vita e del suo prossimo romanzo.
La grande sala al primo piano della nuovissima libreria genovese era già gremita di spettatori molto prima dell’orario dell’incontro. Si sa, Mauro Corona non è uno scrittore qualunque, ma un personaggio che non si può perdere di vedere ed ascoltare. E infatti quando lui è arrivato, con la solita maglietta nera smaniata e la bandana in testa, il pubblico in visibilio gli ha regalato una grossa ovazione.
Lo scrittore ha esordito così: “Le librerie moderne hanno i bar finalmente” e si è fatto subito portare una birra specificando che tale scelta diversa dall’abituale vino era dovuta al fatto che per motivi di salute il medico gli consigliava di non far uso di quest’ultimo per un periodo. Poche parole riguardo a “Il canto delle manère” ricordando che è il terzo libro della Trilogia della Morte dopo “L’ombra del bastone” e “La storia di neve“.
“Ero stufo di scrivere di fiorellini volevo scrivere cose serie che mi rivelassero per quello che sono e così è partita la trilogia. Adesso scrivo quello che penso, e magari vuoi penserete che era meglio invece mi fossi limitato a leggere“. Il pubblico ha riso divertito e ha cominciato a provare simpatia per quel montanaro che con una bottiglia di birra davanti non lascia il tempo al suo intervistatore di formulargli una sola domanda. Lui va a ruota libera, raccontando della sua infanzia, dei suoi nonni, di suo padre, della faticosa vita tra le montagne di quell’ Italia del dopoguerra, in cui il mestiere del boscaiolo era l’unico possibile.
“Ne Il canto delle manère ho salvato la cultura dei boscaioli fino agli anni’50, perché un libro deve salvare la memoria di qualcosa se no non serve né scriverlo né leggerlo“. Ma Corona è venuto con un messaggio preciso da comunicare al suo pubblico di Genova, città a cui racconta di essere legato perché proprio da Genova partì il nonno imbarcato: “Dobbiamo tornare ad inginocchiarci sulla terra, perché dalla terra nasce tutto, farina per il pane e vite per il vino, le uniche cose che servono veramente per la sopravvivenza dell’uomo. Oggi noi siamo diventati eroinomani di tecnologia, anche le donne non fanno più alcuna fatica per far da mangiare. Elettrodomestici per tutto anche per sbucciare patate e carote. Dov’è finita la fatica? Quella che è la sola capace di forgiare l’uomo?“
E da questo discorso viene fuori il tema del suo ultimo manoscritto, una storia in cui immagina non ci sia più petrolio a disposizione per questo si è costretti a bruciare tutto per scaldarsi. Così si comincia ad eliminare il superfluo, si torna al principio, a coltivare la terra. La figura del contadino esce fuori preminente in questa nuova emergente società. Corona insomma inneggia ad un mondo migliore con lo sfogo di un uomo sincero che considera la vanità umana il male più grande di questa epoca in cui regna sovrano il mondo aberrante del Grande Fratello.
Mauro Corona, nato nel 1950 a Erto (Pordenone), ha seguito fin da bambino il nonno paterno (intagliatore) in giro per i boschi. Nello stesso tempo, il padre lo portava a conoscere tutte le montagne della valle. Dal primo ha ereditato la passione per il legno, diventando uno degli scultori lignei più apprezzati d’Europa. Dal padre gli deriva l’amore per la montagna. Alpinista e arrampicatore fortissimo, Mauro Corona ha aperto trecento nuovi itinerari di roccia sulle Dolomiti d’Oltre-Piave. È autore di Il volo della martora, Le voci del bosco (entrambi tradotti in Germania), Finché il cuculo canta, Gocce di resina, La montagna, Nel legno e nella pietra, Aspro e dolce, L’ombra del bastone, Vajont: quelli del dopo, I fantasmi di pietra, Cani, camosci cuculi (e un corvo), Storia di Neve e della raccolta di fiabe per ragazzi Storie del bosco antico.
Autore: Mauro Corona
Titolo: Il canto della manere
Editore: Mondadori
Anno di pubblicazione: 2009
Prezzo: 20 euro
Pagine: 416