Ogni volta che torna in mente il nome di Dino Campana si pensa ad un grande protagonista del novecento, ma soprattutto all’unico poeta italiano di questo secolo su cui sia sorto un vero e proprio mito di “maledettismo”: un mito che rimanda ad un’aria decadente tutt’altro che nazionale, un’aria “francesizzante” e squisitamente europea.
In “Dolce illusorio sud” (Postcart, 1997), un volume curato da Millet e uscito più di un decennio fa, viene riportato un interessantissimo carteggio che l’autore de I canti orfici consegnò, nel 1913, a Giovanni Papini, insieme al manoscritto de Il più lungo giorno (“Il più affascinante manoscritto del Novecento italiano”, secondo la felice definizione di Andrea Cortellessa) e ritrovato solo settanta anni dopo.
Questi carteggi – formati soprattutto da autografi – riprendono il percorso poetico di Campana fra vagabondaggi, ricoveri in manicomio, riprese degli studi fino alla realizzazione de I canti orfici – squisito passaggio tra il “descrittivo” e il “visionario” – presentati alla redazione di Lacerba e poi autoprodotti a Marradi, suo paese natio. Il modo di accostarsi alle cose procede, in Campana, per folgorazioni repentine, tingendo qua e là sguardi onirici e iper-realistici sulla realtà circostante.
Campana assimila le posizioni estetiche del decadentismo francese, riprese in un fervore “rinnovatore” tipico di quegli anni. Il poeta diventa a conti fatti una luce da seguire, fonte d’ispirazione privilegiata per gli autori successivi (basti pensare che gli stessi ermetici vedevano in lui, che ermetico non è, un precursore del loro “movimento”). Millet, nell’ordinare questi autografi, riporta in vita l’uomo prima ancora che l’artista regalandoci un qualcosa che ha il sapore delle cose preziose.
Il sud invocato non è il meridione italiano ma una donna o un paesaggio trafitto dalle luci squisitamente mediterranee, è una grande illusione, è una patria da cercare o da raggiungere, è un ideale, un interstizio di felicità evocato e forse mai raggiunto. Ricerca di purezza, forse. Una purezza profondamente letteraria e umanissima: l’evento e il miracolo, il furor poetico e la follia, la gioia e il dolore. Se mai dovessimo dare una connotazione geografica di questo “sud” potremmo, e forse dovremmo, cercarla nella Francia meridionale ma non perché il poeta vedesse in essa una terra promessa (Campana rimane sempre in un discorso mitologico) bensì perché vi è insito l’ideale della musica, dell’arte, della poesia occidentale.
Oltre agli autografi “lacerbiani” in questo volume possiamo leggere, con interesse, i Notturni che Campana inviò, nel 1913, all’amico e concittadino Luigi Bandini per paura che la polizia li sequestrasse. Molto importanti anche i documenti rari che troviamo in appendice, soprattutto le dediche di alcune copie de I canti orfici: troviamo riferimenti a Verga, De Robertis, D’Annunzio (scritti quando il poeta aveva ancora una relazione con Sibilla Aleramo)
Gabriel Cacho Millet, giornalista e scrittore argentino, autore di numerosi studi e ricerche sulla vita e sull’opera del poeta Dino Campana.
Autori: Gabriel Cacho Millet
Titolo: Dolce illusorio sud
Editore: Postcart
Anno di pubblicazione: 1997
Prezzo: 10,33 euro
Pagine: 102