“Ore diverse” (Del Vecchio editore, 2009) è un campionario di versi ad opera di Stephen Dunn, certamente uno dei più interessanti poeti americani, ancora sconosciuto, o quasi, sia in Italia che in Europa. Che risponde ad una esigenza semplice: sopperire ai vuoti lasciati dall’incessante movimento del tempo, dai silenzi ricoperti di fragorosi rumori della quotidianità.
Giustamente, il critico Gerald Stern ha visto, da una parte, la “saggezza” come la materia poetica che caratterizza l’opera di Dunn e, dall’altra, come un qualcosa di limitato che non riesce ad esprimerne il concetto. In Dunn c’è qualcosa di “insopportabile, coraggioso e bello” ed è un qualcosa di incessante, impalpabile. Una forza titanica che non è racchiusa in una parola – la “trebbiatrice” di Pascoli che rompe il silenzio rurale o la “scavatrice” di Pasolini che modifica i processi mentali dello scrittore nello scendere a Donna Olimpia – ma nella carica ancestrale del linguaggio.
In linguistica la caratteristica più importante della lingua è che, con essa, si può dire tutto, anche spiegare se stessa. In questa silloge si vuole esprimere tale concetto ma svuotandolo di quel nichilismo di certa letteratura degli anni sessanta troppo incentrata ad allontanare i “significati” dai “significanti”. Eppure nella poesia di Dunn appaiono come numi tutelari, ma invisibili, i versi di chi l’ha preceduto: il pestifero trittico “kicks-joy-darkness” della generazione di Kerouac è però riveduto e corretto, offrendo all’oscurità maggiori vie d’uscita, illuminazioni e “fantasticazioni” da perseguire per bloccare il tempo e la vita che passano.
Il pessimismo di Dunn è preso in giro in un gioco autoironico (“Un mio amico pessimista mi ritiene ottimista / perché ho l’aria di chi crede nella prossima cosa bella che accadrà” […]) ma poi si assiste alla morte di Dio la cui notizia arriva come un qualcosa di tutt’altro che celeste. Angeli che esistono e non esistono a celebrare il nostro tempo, metafora del nulla e del decadimento a cui assistiamo nelle nostre città liofilizzate. Angeli, infine, in attesa da sempre. Ma in attesa di cosa? Di una nuova apocalisse?
Mi colpiscono alcuni versi di Capriccio italien perché si inseriscono nel solco della nostra esistenza, toccano quel filo invisibile che divide quello che siamo e non siamo, quello che vogliamo e non vogliamo apparire e quello che, di fatto, appariamo: […] “Provi una sciarpa sgargiante. Allo specchio / un tipo ridicolo ricambia il tuo sguardo. / La prendi lo stesso- / Sei un donnaiolo, e sei senza una donna. / Che assurdità pensare di sottrarsi / all’essere giudicati per ciò che non si ha”. […].
Le intenzioni e gli interessi di Dunn sono sempre in circolo e, in questo moto iper-realistico, assistiamo in un certo senso a quella che Contini definì “funzione Gadda”: anche se non si esplorano i dialetti c’è in questa poesia una violenta ricerca sperimentale, quasi una urgenza del “parlato”, di una sintassi asservita al discorso diretto anche quando graficamente non è riscontrabile; c’è una attenzione al linguaggio, nelle sue forme più disparate. Assistiamo ad un processo formativo di frasi che prendono dal familiare, dallo slang, dai modi di dire, dalle innovazioni linguistiche provenienti dalla odierna multi e inter culturalità.
Stephen Dunn è uno dei più interessanti poeti americani contemporanei. Professore di scrittura creativa al Richard Stockton College in New Jersey, è nato a New York City nel 1939. E’ autore di undici volumi di poesia, un volume di saggi e memorie e un volume di prose poetiche, Riffs and Reciprocities.Different hours ha vinto nel 2001 il Premio Pulitzer per la poesia.
Autore: Stephen Dunn
Titolo: Ore diverse
Editore: Del Vecchio
Anno di pubblicazione: 2009
Prezzo: 13 euro
Pagine: 232