“Noi” (Rizzoli, 2009) di Walter Veltroni, dedicato a Vittorio Foa, vengono descritti anni cruciali, nodali in 4 stagioni che hanno cambiato il corso della nostra Storia: l’estate del ’43 a Roma, in piena Seconda Guerra Mondiale.
Con il bombardamento di San Lorenzo, la caduta del fascismo ed il conseguente 8 Settembre, il rastrellamento nel ghetto ebraico del 16 Ottobre da parte dei nazisti, la primavera rappresentata dal 1963 in pieno boom economico che ha il volto di una splendida Claudia Cardinale, l’autunno del terremoto in Irpinia del 1980 e quello della Repubblica, gli anni di piombo che culminano nella strage di Bologna del 1980 e per finire l’inverno dei cuori in un orwelliano 2025, dove ogni passione ed anelito sembrano spenti per sempre.
Ritroviamo in questo romanzo la storia d’Italia vista da quattro adolescenti di diverse generazioni di una comune famiglia romana.
Il titolo è emblematico: “Noi“ come il cognome della famiglia protagonista ma soprattutto Noi inteso come memoria storica condivisa, per non dimenticare quello che siamo stati e per capire dove saremo capaci di andare. Un come eravamo fatto di nostalgia e speranze, avvenimenti, piccoli e grandi ricordi, oggetti-simbolo, canzoni e film, dove ciascuno di noi ritroverà un pezzo del proprio passato e contemporaneamente un sentimento comune di appartenenza ai nostri valori ed alla nostra cultura.
Ne abbiamo parlato con l’autore.
“Anche nei tempi più oscuri abbiamo il diritto di attenderci una qualche illuminazione… essa ci giungerà dalla luce incerta e vacillante che alcuni uomini e donne… avranno acceso in ogni genere di circostanze, diffondendola sull’arco di tempo che fu loro concesso di trascorrere sulla terra”. Ci può chiarire il significato di questa frase, tratta dalla prefazione di Men in Dark Times di Hannah Arendt, che appare all’inizio del romanzo?
“Trovo che sia una frase di grande suggestione, perché indica la responsabilità – concreta e quotidiana – che ognuno di noi è chiamato ad assumere e ad affrontare. Ci parla di uomini e donne normali, senza far riferimento a intellettuali o politici o generali; ognuno di noi è chiamato ad accendere un lume, e non in forza di un’ideologia o di una utopia, bensì in ragione del fatto che siamo essere umani e che il senso della vita è, forse, proprio nello scoprire giorno dopo giorno la nostra umanità. Tutti abbiamo piccole e grandi responsabilità e proprio leggendo Hannah Arendt, le sue pagine sulla banalità del male, penso a quanto grande sia la responsabilità di chi ha trovato la forza di raccontare la Shoa e i suoi orrori. Vede, nel libro c’è un’unica foto: è quella dei venti bambini di Bullenhuser Damn, cavie per terribili esperimenti nelle mani di un uomo qualunque: il dottor Kurt Heissmeyer. Un uomo banale che si trasforma in un orco, un torturatore che seleziona le giovanissime vittime con l’inganno più vile: lui e Mengele danno ai bambini l’illusione di poter incontrare la mamma. «Chi di voi vuole rivedere la mamma si metta in fila qui davanti», e le vittime sono pronte. Andra e Tatiana Bucci, due bambine rinchiuse nel campo di sterminio di Auschwitz, avrebbero potuto essere fra i 20 bimbi. Si salvarono, perché una delle guardiane del campo le avvertì di non rispondere a quell’appello. Il loro cugino, Sergio, aveva sette anni. Alzò la manina e si mise in fila. Andra e Tatiana hanno trovato la forza di raccontare, anche in quel buio hanno fatto risplendere una luce.”
Cosa hanno in comune Giovanni, Andrea, Luca e Nina, oltre al fatto di appartenere allo stesso nucleo familiare?
“Hanno in comune l’essere bambini, ragazzi che guardano e vivono la storia con occhi diversi da quelli dei grandi. Con meno sovrastrutture, meno ideologie, meno ambiguità. A volte a noi adulti sembra che l’unico modo di leggere la realtà sia il nostro. Diamo per scontate la necessità di una marea di cose: è inevitabile la guerra, è inevitabile che l’economia funzioni in un certo modo, è inevitabile che le relazioni fra individui siano strutturate in un certo altro modo, è inevitabile che il denaro si guadagni in quella data maniera, che esistano mercati finanziari, ecc. C’è tutta una quantità di cose che noi diamo per naturali, assodate, indiscutibili: sono così e non potrebbe essere altrimenti, diciamo. Ma non è vero. La storia ci insegna ad esercitare il dubbio come arma di conoscenza e di tolleranza, inoltre, a ben guardare, la realtà è abbondante, ricca, complessa, sorprendente, e mai una sola interpretazione è quella autentica, vera per sempre.
Ma noi adulti, facciamo fatica a pensare che ci possano essere altre strade. Preferiamo l’uniformità e la monotonia. C’è una bellissima frase di un libro che amo, Il Piccolo Principe, che ci fa comprendere quale grande ricchezza siano gli occhi dei bambini: “I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegare loro tutto ogni volta“. L’ho citata nell’ultimo capitolo di “Noi”. Frequentare i bambini può essere faticoso per gli adulti. Il pediatra e educatore polacco Janusz Korczak, morto nel campo di concentramento di Treblinka coi ‘suoi’ bambini, e al quale il regista Andrzej Wajda ha dedicato un film nel ‘90, ci risponde con una grande testimonianza d’amore. Sì, è vero, dice Korczak in uno straordinario pensiero, è faticoso frequentare bambini, ma non perché “bisogna mettersi al loro livello/ abbassarsi, inclinarsi,/ curvarsi, farsi piccoli”; ciò che più stanca è “piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalzarsi,/ fino all’altezza dei loro sentimenti./ Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi./ Per non ferirli“.”
Roma, in particolare Villa Borghese, appare lo scenario ideale del romanzo. È un omaggio alla sua città della quale è stato Sindaco?
“Villa Borghese è uno dei posti più belli del mondo, non a caso è presente in tutti e quattro i capitoli del libro. Quando ero sindaco, lavorai molto per questo luogo che è un concentrato di fascino e incanto. Il libro è, certo, anche un omaggio a Roma e ai suoi cittadini, un ringraziamento letterario alla bellezza, all’amore, alla passione che ho ricevuto e che ricevo da questa città.”
A Giovanni a cui piace disegnare in nero e grigio la realtà che lo circonda, il professore di latino … aveva insegnato che il verbo “ricordare” significa riportare al cuore. Ritiene sia fondamentale l’esercizio della memoria?
“La memoria aiuta a ricostruire, a ritrovare il senso di sé, soprattutto in questi anni nei quali la corrente della storia sembra sommergerci in un indistinto di voci o troppo omologate o troppo solitarie. La memoria è un imperdibile filo d’Arianna, senza il quale il futuro è un labirinto inestricabile. In tutto il romanzo la memoria è centrale, e ogni protagonista racconta ai propri figli o lascia a chi giungerà dopo, la memoria di ciò che è stato.”
Quale significato particolare ha il viaggio in macchina attraverso l’Italia del ’63 di Giovanni e di suo figlio Andrea?
“Era, quella, l’Italia dell’ottimismo, della speranza, della voglia di fare insieme. C’era un Paese intero pronto a scommettere sul futuro, sono gli anni in cui i genitori sanno che i loro figli avranno un avvenire migliore (esattamente il contrario di ciò che accade oggi), gli anni in cui tutto sembrava possibile. Il tragitto nell’automobile appena acquistata, a rate naturalmente, si svolge in un luogo che allora sembrava segnare il progresso: l’autostrada, come a dire un Orient Express domestico che poteva sfidare il futuro. E in quel viaggio Andrea capisce, tra l’altro, che la grande ambizione dell’uomo è poter scegliere, e non necessariamente questa possibilità è legata alla ricchezza. Scegliere il lavoro, l’amore, l’amicizia, gli acquisti, i luoghi dove abitare. Scegliere, magari anche fra poche cose, ma poterlo fare liberamente.”
Ha ragione Nicola, uno dei protagonisti del film del ’74 C’eravamo tanto amati di Ettore Scola interpretato da Stefano Satta Flores, quando dice «… volevamo cambiare il mondo ed invece il mondo ha cambiato noi», frase che Andrea cita nel Suo romanzo?
“Quella frase Andrea la pronuncia durante un dialogo con Monica: partono dalla crisi del loro rapporto e tirano in ballo le illusioni politiche di una generazione, e a quel punto Andrea cita film e battuta. In realtà non credo che abbia ragione. Oggi non è il tempo in cui dobbiamo cambiare il mondo con utopie ideologiche, che forse sono state grandi ma che hanno prodotto anche immense tragedie. Oggi la sfida è far sì che il mondo cresca con noi, tutti noi. Solo se pretendessimo di ridurre il mondo dentro un’ideologia o una religione, cioè dentro un’astrazione, finiremmo per essere sconfitti e sarebbe il mondo a cambiarci, perché non ci sono gabbie che tengano di fronte a una realtà che è sempre imprevedibile, sempre più ricca di quel che immaginiamo.”
Nel volume sono presenti molte canzoni, Notte e dì, Parlami d’amore Mariù, Stand bye me, Una giornata uggiosa ecc… e vengono anche citati molti film. Attraverso la musica e gli spezzoni cinematografici c’è la storia del Novecento, secolo nel quale è accaduto di tutto? Scrivendo Noi, ha attinto anche ai Suoi ricordi, in un viaggio dal sapore proustiano alla recherche du temps perdu?
“Gli oggetti, le canzoni, i film servono a ricostruire una storia quotidiana del Novecento, sono tanti flash di memoria che alimentano un po’ di nostalgia, ma soprattutto servono a rendere familiare i vari contesti del libro.
Non c’è dubbio che scrivere un romanzo generazionale come questo, ha significato per me attingere anche alla mia storia, per esempio tante cose che il bambino degli anni Sessanta vede, tocca, usa, scopre, sono le stesse dei miei personali ricordi. Del resto, a chiunque si cimenti con la scrittura e dia spazio alla fantasia, alla narrazione, è normale che esca fuori il proprio vissuto, anche quello inconscio.”
Il Senatore Edward Kennedy mancato di recente, è stato fin dall’inizio uno dei sostenitori politici di Barack Obama che Lei ha conosciuto personalmente e ha scritto la prefazione all’edizione italiana della sua autobiografia. Ciò che riguarda uno, riguarda anche gli altri, disse Obama nel 2004 nel discordo di apertura alla Convention democratica, desidera commentare questa frase?
“Obama ha, soprattutto, lanciato la sfida ai poteri consolidati, ed è negli Stati Uniti che oggi soffia un vento nuovo di riforme possibili. È un vento di cui abbiamo bisogno anche in Italia, dove si sta affermando una cultura, diffusa a tutti i livelli, che sembra molto moderna, ma che in realtà è stagnante, non modifica nulla, ci fa scendere sempre di più negli scantinati del mondo. È la cultura di chi dice che non pagare le tasse può essere giusto; la cultura di chi nega valore alla giustizia perché a volte la giustizia è scomoda; la cultura di chi pensa a una società divisa in due: gli italiani da una parte, gli stranieri, i moderni ‘barbari, dall’altra. È la cultura che usa l’ “io” e il “noi” in modo assolutamente negativo: il “noi” è quello di una comunità chiusa, dove l’identità è usata come confine invalicabile, un novello muro di Berlino, mentre l’ “io” diventa pura e semplice difesa dell’egoismo. Questa è modernità? Per contro, il richiamo di Obama è antico e modernissimo. Talmente antico che mi viene in mente la frase del commediografo romano Terenzio: «Homo sum, humani nihil a me alienum puto», sono un essere umano, e nulla mi è estraneo di ciò che è umano. Talmente moderno da poter essere assunto come perfetta riflessione di questi anni di globalizzazione: il mondo si è fatto così “piccolo” che ciò che accade negli altri continenti mi riguarda, il mio vicino di casa è chiunque abiti questo pianeta.”
Walter Veltroni è nato a Roma il 3 Luglio 1955. Politico, giornalista (è stato Direttore de L’Unità dal 1992 al 1996) e scrittore. Già Segretario Nazionale del Partito Democratico, Sindaco di Roma eletto una prima volta nel 2001 e riconfermato alle elezioni comunali del 2006, si è dimesso il 13 Febbraio 2008 per candidarsi alle elezioni politiche dell’Aprile successivo. Vicepresidente del Consiglio e Ministro dei Beni Culturali nel Governo Prodi nel 1996 e Segretario dei Democratici di Sinistra dall’Ottobre 1998 all’Aprile del 2001. Tra i vari libri pubblicati ricordiamo: Io e Berlusconi (e la RAI) Editori Riuniti 1990), Il sogno spezzato. Le idee di Robert Kennedy (Baldini & Castoldi 1993), La bella politica.(un’intervista di Stefano Del Re) (Rizzoli 1995,1996), Forse Dio è malato. Diario di un viaggio africano (Rizzoli 2000), Il disco del mondo. Vita breve di Luca Flores, musicista ( Rizzoli 2003), da cui è stato tratto il film Piano, solo di Riccardo Milani con Kim Rossi Stuart, Senza Patricio (Rizzoli 2004), La scoperta dell’alba (Rizzoli 2006). La nostra stagione. Contro tutti i conservatorismi (Rizzoli 2007). Ha inoltre scritto la prefazione al libro autobiografico di Barack Obama L’audacia della speranza (Rizzoli 2007).
Autore: Walter Veltroni
Titolo: Noi
Editore: Rizzoli
Anno di pubblicazione: 2009
Prezzo: 19 euro
Pagine: 352