Nell’ambito dei festeggiamenti per gli ottant’anni della casa editrice Bompiani, abbiamo incontrato, sabato 14 novembre alla Fnac di Milano, uno dei più grandi registi viventi, Aleksandr Sokurov. L’occasione è la pubblicazione del suo primo libro, “Nel centro dell’oceano” (Bompiani 2009), fortemente voluto dalla sua più grande sostenitrice nostrana, Elisabetta Sgarbi, che gli ha riservato un posto d’onore anche alla “Milanesiana” di qualche tempo fa.
Il regista che ha commosso il cantante Nick Cave con “Madre e figlio“, che ha trovato in Enrico Ghezzi (che cura la postfazione del volume) un ammiratore devoto, che propone temi altissimi, dalla religione all’arte, senza abbandonare il gusto per la sperimentazione (in “Arca Russa“, grazie alla camera digitale ha ottenuto un unico piano sequenza e fatto a meno del montaggio) ha dichiarato con candore di non essere un fan del cinema, ma della parola scritta. Il suo cinema è infatti disseminato di riferimenti letterari più o meno espliciti (pensiamo ai “Dialoghi con Solženicyn“) con l’intenzione, secondo il maestro, di spingere lo spettatore tra le pagine dei libri.
Il testo, pubblicato in anteprima mondiale in Italia, come già avvenuto per “Il Dottor Živago” di Boris Pasternak per Feltrinelli nel 1957, nasce come un testo privato, un oceano fatto di note, ricordi, dialoghi con persone diversissime, riflessioni, stralci di diari, racconti di vita, considerazioni sul cinema. A tal proposito, Sokurov ha invitato il lettore a non prendere alla lettera quanto espone: si tratta solo di riflessioni personali, contraddittorie e piene di dubbi.
Si alza sempre in piedi quando parla alle tante persone convenute alla presentazione. “Fare cinema è un po’ rubare“, ha sostenuto, poiché in un film convergono diverse forme artistiche, dalla musica alla pittura, alla letteratura. “Ma“, ha aggiunto, “non può esserci cinema se non c’è un punto di vista morale sul mondo“. Questa tesi può sembrare ingenua e perbenista, ma secondo il regista pone al centro della rappresentazione lo spettatore: proporgli immagini violente, crudeli, può tradire il rapporto che il regista stabilisce con il pubblico. È questo, secondo Sokurov, il limite di Ejzenštejn, il regista della celebre “Corazzata Potëmkin“.
Uno dei pilastri sui quali si fonda la poetica di Sokurov è l’arte classica, quella ripresa attraverso le stanze dell’Ermitaž di San Pietroburgo nel film “Arca Russa“. Aveva 7 anni, racconta nel libro, quando, nel bel mezzo del deserto asiatico venne raggiunto da una musica triste trasmessa alla radio: era l’Adagio di Albinoni. Quando terminò, il bambino si ritrovò in lacrime. Questo ricordo conferma l’idea del regista secondo la quale uno stato non può fare a meno della propria cultura. Ci sono regioni nel mondo dove la cultura ha un ruolo fondamentale, poiché funge da collante. Se la cultura smettesse di assolvere questo compito, anche lo stato smetterebbe presto di esistere.
Sokurov, maestro della cinepresa, inventore di forme e filosofo di grandi temi, è un uomo molto umile, che ha lasciato il culto della personalità ai tiranni rappresentati nella sua trilogia. Quanto al suo posto nel cinema, oggetto di uno degli ultimi capitoli del volume, afferma: “Sono convinto di non essere che un apprendista”.
Autore: Aleksandr Sokurov
Titolo: Nel Centro dell’Oceano
Editore: Bompiani
Anno di pubblicazione: 2009
Prezzo: 17,50 euro
Pagine: 276