Portare in primo piano le idiosincrasie del videogame e rifiutare l’assimilazione forzata ad altre forme espressive, riconoscendolo quale medium con un suo statuto e autonomia. Questo l’obiettivo primario di “Intermedialità” (Edizioni Unicopli, 2008) a cura di Matteo Bittanti. Lavoro collettivo, che ha coinvolto ricercatori di varie scuole e formazioni – dagli Usa all’Italia, dal Canada alla Gran Bretagna – è il punto di arrivo di una riflessione sul ludus digitale, ma anche il punto di partenza per successive perlustrazioni critiche.
Analizzando casi di studio, il volume pone una soluzione ad approcci ingenui che confondono strategie di marketing per rivoluzionarie prassi di produzione culturale, proponendo teorie dell’intermedialità a possibile correzione di quelle teorie intermedie che ingolfano le discussioni dei game studies. Si travalica la pretesa di spiegare il videogame con teorie sviluppate per media tradizionali, invitando il lettore a operare un “defrag” intellettuale a favore di nuove “applicazioni”, scortandolo nell’investigare non solo le dinamiche produttive ma anche i testi e le pratiche di consumo.
In cosa differisce un videogame da un’opera d’arte, da un film, da un fumetto, da una serie tv? Il primo dei saggi che il testo contiene estrapola dal videogioco la sua propria essenza quale forma di espressione artistica, analizzando il ruolo del giocatore, oscillante tra la libertà di fruizione dei contenuti e i vincoli a una finzione prestabilita.
Successivamente, entrando nel territorio cinematografico, l’analisi verte su analogie e divergenze con i trailer video ludici, approfondendone la qualità promozionale, dove il videogioco perde la sua interattività per diventare puro messaggio video. Nello stesso ambito i survival horror diventano oggetto di studio quali incorporazioni di specifiche marche stilistiche dei film dell’orrore. Da una parte si parla di montaggio interattivo dei videogiochi, dall’altra anche della spiegazione del perché strategie retoriche del film non funzionano in questo contesto.
A complemento si trova un esame sul cinema dei videogiochi e sul processo di rimediazione esistente in questo caso, per lo meno per quanto concerne il cinema indipendente o d’autore. Non mancano casi di subordinazione dei videogiochi ai film, come Enter the Matrix e The Matrix Reloaded, aprendo la discussione al tema della cross-medialità e ai metodi per una sua efficace progettazione.
Interessanti i confronti con il mondo dei fumetti e delle serie televisive, spesso trascurati dalla critica qui risultano appassionanti al fine di far comprendere e avvicinare il lettore a forme espressive di narrazione i cui elementi di interattività non sempre si delineano immediatamente. La disamina, infine, sul fenomeno dello speedrun conlude il panorama con una pratica di consumo creativo consolidatasi, al tempo stesso, come artefatto culturale.
Pur con terminologie specifiche del videogame (dal walkthough al glitching, dal sandbox al FPS per citarne alcuni), ma ben descritte, “Intermedialità” rappresenta un testo riflessivo e aperto, che inizia al videogame quale medium con caratteristiche irriducibili, ma che si rivolge al contempo a un pubblico eterogeneo, spaziando dall’appassionato di estetica allo studioso di game design, teoria del cinema o della televisione.
Matteo Bittanti (il curatore) svolge attività di ricerca sui videogiochi presso la Stanford University e la University of California, Berkeley. Insegna Game Studies presso il California College of the Arts. Dopo la Laurea in Filosofia e Comunicazioni sociali, ha ottenuto un Master of Science in Mass Communications presso la San Josè University a San Josè, California e un Dottorato in Nuove Tecnologie della Comunicazione presso lo IULM di Milano. Ha scritto e curato numerosi libri e saggi sui videogiochi, in italiano e inglese. Vive a San Francisco.
Voto: 8
Autore: Matteo Bittanti (a cura di)
Titolo: Intermedialità. Videogiochi, cinema, televisione, fumetti
Editore: Edizioni Unicopli
Data di pubblicazione: 2008
Prezzo: 17 euro
Pagine: 237