È una dichiarazione d’amore al calcio quella scritta da Darwin Pastorin con Lettera a un giovane calciatore (Chiarelettere, 2017). Il calcio come poesia e sentimento, come magia che si accende ogni volta che su un campo si gioca con il pallone tra i piedi. Difficile conciliare tutto questo con l’odierno gioco del calcio; tuttavia, nella sua essenza questo sport rimane estro, dribbling, emozioni.
La memoria calcistica parte da lontano, dal grande Torino finito con la tragedia di Superga. Come un filo rosso siamo proiettati ad un’altra tragedia, questa volta molto più recente: la favola della Chapecoense che termina con un aereo che precipita. Favola davvero perché la squadra brasiliana (Pastorin nasce a San Paolo nel 1955) era diretta in Colombia a disputare la Coppa sudamericana. Una squadra non blasonata come il Flamengo o il Palmeiras ma che era riuscita ad arrivare a grandi livelli.
I capitoli scorrono piacevolmente ricordando l’importanza della fantasia e del dribbling. Cosa sarebbe il calcio senza estro? Questo sport non è una scienza esatta. L’imprevedibilità è la sua caratteristica e si incarna di volta in volta in grandi campioni fino a quello più grande di tutti: Diego Armando Maradona. La sua storia viene ricordata brevemente: dal grave infortunio di Barcellona all’approdo al Napoli, fino al mondiale messicano vinto dal pibe de oro con prodezze rimaste nella storia, soprattutto il gol contro l’Inghilterra dopo una lunga serie di dribbling. E la mano de dios, naturalmente.
Il mondiale è un capitolo a parte. La più grande delle manifestazioni calcistiche è un misto di ricordi, amarezze e inaspettate esultanze. Dal Maracanazo, la storica sconfitta del Brasile nella finale contro l’Uruguay del 1950 all’ascesa di Pelè che porterà alla conquista della coppa Rimet (così si chiamava l’odierna Coppa del Mondo prima del mondiale del 1974). L’Italia, ricorda Pastorin, sottovalutò la Corea del Nord nel 1966 e uscì desolatamente dalla competizione. Poi la rinascita nel 1970 con Rivera, l’abatino breriano, e il 4-3 in semifinale con la Germania. I mondiali argentini del 1978 con la dittatura di Videla e quelli, davvero entusiasmanti, in Spagna nel 1982. Chi non ricorda l’esultanza di Pertini in tribuna? Ma quella affermazione è figlia anche di un conflitto con la stampa, successivo all’opaco girone di Vigo. Quanti campioni in questa grande storia del calcio.
E poi c’è la letteratura. Il calcio è anche arte e lo è anche grazie ad alcuni libri fondamentali su questo sport (ricordati in una utile lista alla fine del libro). Non si può non cominciare da Osvaldo Soriano, grande scrittore con il suo stile surreale e poetico; o, sempre per restare in Sudamerica, Eduardo Galeano con Splendori e miserie del gioco del calcio. Ma anche tanti scrittori italiani, a cominciare dall’amato Giovanni Arpino con il suo Azzurro Tenebra o Pasolini e Saba, e si potrebbe continuare ancora.
Il calcio è vissuto ad ogni latitudine, è un vero e proprio linguaggio. Non si gioca solo nei grandi stadi ma anche nei piccoli campetti di periferia. E, forse, suggerisce Pastorin, da lì si dovrebbe ricominciare. Nell’umiltà di seguire i giovani calciatori che inseguono i loro sogni e che hanno il diritto di sognarli.
Darwin Pastorin giornalista e scrittore nato a San Paolo del Brasile nel 1955. Ha lavorato per il “Guerin Sportivo” ed è stato inviato speciale e vicedirettore di “Tuttosport”, ex direttore di “Sky Sport” e “La7 Sport” è autore di diversi libri dedicati al calcio tra cui I portieri del sogno. Storie di numeri 1 (Einaudi, 2009) e Lettera a mio figlio sul calcio (Mondadori, 2002).
Autore: Darwin Pastorin
Titolo: Lettera a un giovane calciatore
Editore: Chiarelettere
Anno di pubblicazione: 2017
Prezzo: 13 euro
Pagine: 144