È una Ville Lumière senza luci quella descritta nel volume La casa di Parigi di Elizabeth Bowen (Sonzogno 2015), quinto romanzo della grande autrice irlandese, considerato il suo capolavoro. “Un mattino di febbraio, cupo e vischioso, prima ancora che le botteghe aprissero i battenti, un taxi si allontanava dalle Gare du Nord sbandando sul selciato”.
Anzi, in quella livida alba invernale, Parigi agli occhi di Henrietta sembrava una città di cartapesta: strade tutte uguali e indifferenti percorse da volti assonnati e con le botteghe implacabilmente serrate. La bambina di undici anni, orfana di madre, proveniente da Londra, si trovava di passaggio a Parigi, destinazione Mentone, in Costa Azzurra, dove era attesa dalla nonna, la signora Arburthnot. Era andata a prenderla al treno la signorina Naomi Fisher, un’amica di famiglia che avrebbe accolto Henrietta per un intero giorno a casa sua, dove la donna viveva in compagnia della madre, Madame Fisher, di origine francese. A bordo del taxi, Naomi aveva rivelato alla sua piccola ospite che teneva in mano una scimmietta di pezza dagli arti penduli, che a casa Henrietta avrebbe conosciuto Leopold. “Penserai che la nostra casa sia un centro di smistamento di fanciulli in transito a Parigi. Ma non è così. Si tratta di una pura coincidenza”.
Il bambino di nove anni, arrivato a tarda sera il giorno prima da La Spezia, era a Parigi per ragioni di famiglia, doveva incontrare la madre, che il piccolo a malapena ricordava. L’abitazione delle Fisher, un edificio a tre piani, sembrava a Henrietta una casa in miniatura, di bambola, molto stretta dalla facciata color panna screziata di venature più scure. Una dimora molto dignitosa, con le persiane linde e ben aperte, ubicata in una zona di pregio, che la proprietaria, confinata a letto a causa delle sue cagionevoli condizioni di salute, si ostinava a non vendere. Sdraiatasi sul divano del salotto, Henrietta si era addormentata con le vibrazioni della città in testa e quando si era svegliata un bambino esile con gli occhi scuri che indossava una rigida blusa alla marinara, la stava osservando. “A dire il vero, la signorina Fisher mi aveva detto di non entrare qui dentro”.
The house in Paris, pubblicato dall’autrice nel 1935 e finora poco conosciuto in Italia, edito per la prima volta nel nostro Paese in versione integrale nella Collana Bittersweet, rappresenta un vero gioiello della letteratura femminile inglese che indaga sulla scoperta del sesso, sull’identità e sulla perdita dell’innocenza. Tra “Il presente” e “Il passato” i capitoli che si alternano nel libro, Elizabeth Bowen si sofferma con rara finezza nell’illustrare al lettore le singole personalità dei personaggi: una madre dispotica, una figlia da sempre sottomessa, una ragazza inquieta e troppo affascinante e due bambini sensibili, dalla mente acuta e sottile. In un’atmosfera vagamente gotica e jamesiana (Henry James era stato uno degli scrittori di riferimento della Bowen), venata di mystery, all’interno di un’abitazione claustrofobica, Henrietta e Leopold fanno amicizia stabilendo un legame profondo perché ciò che li unisce non è solo la comune solitudine esistenziale ma la precoce intuizione che il mondo degli adulti è ipocrita e falso. E quindi pieno di delusioni. “Gli incontri che non hanno luogo conservano un carattere tutto loro. Rimangono identici a come erano stati vagheggiati. E così la madre che non si era presentata a incontrare Leopold quel pomeriggio era rimasta una creatura immaginaria, capace di proferire solo la verità”.
Elizabeth Dorothea Cole Bowen (Dublino, 7 giugno 1899 – Hythe, 22 febbraio 1973), autrice di numerosi romanzi di successo, tra i quali L’ultimo settembre e Un mondo d’amore, e di racconti, trascorse gran parte della sua vita a Londra, dove entrò a far parte del circolo Bloomsbury divenendo amica di Virginia Woolf. The house in Paris è tradotto da Alessandra di Luzio, Postfazione di Leonetta Bentivoglio.
Autore: Elizabeth Bowen
Titolo: La casa di Parigi
Editore: Sonzogno
Pubblicazione: 2015
Prezzo: 16 euro
Pagine: 286