La straordinaria figura di Leone Ginzburg è la protagonista del volume Il tempo migliore della nostra vita di Antonio Scurati (Bompiani 2015), ultimo intenso libro dell’autore napoletano. “Leone Ginzburg dice no l’8 gennaio del 1934. Non ha ancora compiuto venticinque anni ma, dicendo no, s’incammina verso la propria fine”. Quasi dieci anni prima, il 3 gennaio 1925, il Capo del Governo Benito Mussolini aveva pronunciato alla Camera il discorso con il quale assumeva l’intera responsabilità del delitto del deputato del Psi Giacomo Matteotti, instaurando di fatto un regime dittatoriale nel nostro Paese. In quel 1934, da due anni e quattro mesi era in vigore l’obbligo per i docenti universitari di giurare fedeltà al fascismo. Chi si fosse rifiutato di giurare avrebbe perso la cattedra. Il giovanissimo libero docente di letteratura russa “capelli neri, viso allungato, sopracciglia folte, naso aquilino”, aveva pronunciato il suo no, armato solo di una penna. “Illustre professore, ricevo la circolare del Magnifico Rettore, in data 3 gennaio, che mi invita a prestare giuramento. Ho rinunciato da un certo tempo a percorrere la carriera universitaria, e desidero che al mio disinteressato insegnamento non siano poste condizioni, se non tecniche o scientifiche. Non intendo perciò prestare giuramento”. Tutto questo perché “l’onore è un motivato rifiuto” e significava “obbedire senza abbassarsi”. Soltanto tredici professori ordinari di università statali si erano rifiutati apertamente di giurare perdendo cattedra, pensione e stipendio. Tredici su quasi milletrecento. Leone Ginzburg (Odessa, 4 aprile 1909 – Roma, 5 febbraio 1944), uno dei principali animatori della cultura italiana negli anni Trenta, ebreo, “risolutamente antifascista”, consapevole del proprio destino che l’avrebbe portato a morire nel carcere romano di Regina Coeli in seguito alle torture subite dai tedeschi, s’incamminò verso la propria fine. “Apolide in un’Europa travolta dalla marcia trionfale dei fascisti, degli antisemiti, dei nazionalisti di ogni bandiera”.
L’autore intrecciando l’esperienza di vita di una personalità luminosa e coerente con le vicende della propria famiglia, ricorda la storia collettiva italiana. La parabola esistenziale di Ginzburg appare quanto mai attuale e di esempio per i più giovani. Dicendo “no” ai giorni del presente, il giovane professore si rivolge al futuro, perché primo di una nuova generazione. Quella stessa generazione alla quale facevano parte Cesare Pavese “Cesarito” e Giulio Einaudi, compagni di scuola al liceo Massimo D’Azeglio di Torino di Leone, con i quali Ginzburg fondò nel ’33 “una delle più grandi imprese di cultura del Novecento”: la Casa Editrice Einaudi. “Ci sposammo, Leone ed io”. Così laconica ricorda, la scrittrice Natalia Ginzburg (Palermo, 14 luglio 1916 – Roma, 7 ottobre 1991), figlia del celebre scienziato Giuseppe Levi, nel suo libro più amato, Lessico famigliare (1963), il matrimonio con Ginzburg. Il loro amore era iniziato per corrispondenza mentre Leone si trovava in carcere a Civitavecchia. Ed è proprio da una frase tratta da un racconto della Ginzburg Inverno in Abruzzo scritto dall’autrice nel ’44 poche settimane dopo la tragica morte di Leone, dove Natalia rievoca gli anni del confino sulle montagne di Pizzoli con il marito e i figli, che Scurati ha tratto il titolo del romanzo. “Allora io avevo fede in un avvenire facile e lieto, ricco di desideri appagati, di esperienze e di comuni imprese. Ma era quello il tempo migliore della mia vita e solo adesso che m’è sfuggito per sempre, solo adesso lo so”. Ha una valenza profetica il fatto che Ginzburg avrebbe dedicato il corso universitario del 1934 allo scrittore e filosofo russo Aleksandr Herzen (1812 – 1870), l’aristocratico figlio di latifondisti, il quale abbandonò i privilegi di nascita per vagabondare in esilio volontario attraverso l’Europa predicando l’anarchia e la libertà del popolo. Giunto al termine della sua vita, Herzen dedicò al figlio Sasa e all’avvenire il suo libro testamentario. “Sasa, amico mio, ti dedico questo libro perché probabilmente è il migliore che io abbia mai scritto. Non costruiamo noi, non demoliamo, non annunciamo una nuova rivelazione, disperdiamo bensì la vecchia menzogna. L’uomo contemporaneo, triste pontifex maximus, si limita a gettare un ponte; lo attraverserà un altro, uno sconosciuto, l’uomo del futuro. Forse tu lo vedrai… Non fermarti sulla vecchia sponda”.
Antonio Scurati (Napoli 1969), è ricercatore alla Iulm di Milano e membro del Centro studi sui linguaggi della guerra e della violenza. Ha scritto i saggi Guerra. Narrazioni e culture nella tradizione occidentale (2003, finalista al Premio Viareggio) e Televisioni di guerra (2003). Bompiani ha pubblicato, in versione aggiornata, il suo romanzo d’esordio Il rumore sordo della battaglia (2006, Premio Fregene, Premio Chianciano), i saggi La letteratura dell’inesperienza (2006), Gli anni che non stiamo vivendo (2010), Letteratura e sopravvivenza (2012) e i romanzi Il sopravvissuto, con cui l’autore ha vinto la XLIII edizione del Premio Campiello, Una storia romantica (2007, Premio SuperMondello), Il bambino che sognava la fine del mondo, finalista al Premio Strega 2009. Del 2011 il romanzo, uscito sempre per Bompiani, La seconda mezzanotte e del 2013 Il padre infedele, ancora finalista al Premio Strega. I suoi libri sono tradotti in numerosi paesi stranieri.
Autore: Antonio Scurati
Titolo: Il tempo migliore della nostra vita
Editore: Bompiani
Pubblicazione: 2015
Prezzo: 18,00 Euro
Pagine: 267