“Questa lontananza così vicina“ (Perrone, 2009) di Paolo di Paolo riprende il titolo da un punto d’osservazione, privilegiato o immutabile, e una realtà davanti ai propri occhi. Oltre lo sguardo, le persone con cui si è condivisa la vita.
E ancora i minuti rarefatti di esistenza, lo scandire implacabile del tempo. C’è una bellissima poesia di Octavio Paz, El Balcon, e ci sono alcuni versi che recitano Acodado al balcón / veo / esta lejanía tan próxima / No sé cómo nombrarla aunque la toco con el pensamiento.
Passato e presente, cronaca e futuro: fantasmi reali e creature immaginarie ad avvolgere infiniti dettagli, momenti che solo la propria memoria possono registrare e immobilizzare nell’alveo dell’eternità. Memoria, una parola granitica, quasi monumentale. Eppure intorno germoglia una primavera di speranze, di sogni, di desideri tramutabili in sensazioni reali e suggestive. E poi il viaggio, un viaggio a ritroso, prematuro forse per l’età dello scrittore ma così limpido e genuino. Un “ritardatario” tema di maturità, o semplicemente il desiderio di mettere su un invisibile disco gli attimi dell’adolescenza, i quesiti irrisolti, le distanze non colmate, i sentimenti repressi o lasciati andare.
Una donna, personaggio fondamentale della propria giovinezza, una professoressa o semplicemente una presenza umana transitata con i propri gesti e con le proprie parole su questo mondo. Poi l’addio, la morte inaspettata, il senso di abbandono e smarrimento. Di Paolo tenta la via del diario, l’antico splendore della corrispondenza, nella sua scarna e brachilogica bellezza in una sorta di ricerca volutamente impegnativa, colta, intellettuale. Un libro che ha il gusto della parola e del suono di ogni singolo fonema, la letteratura come puro e solitario bisogno edonistico. Ma non c’è esercizio di stile vuoto a se stesso, bensì l’avvicinamento di significanti diversi e diversificati a un significato profondo riconducibile a segni e a gesti ben precisi.
“Questa lontananza così vicina“ è un libro che “era un altro libro”, nato sulle tracce della scrittrice Lalla Romano e che poteva essere inteso come “racconto critico o pellegrinaggio letterario”. Uscito nel 2006 si chiamava Come un’isola. Il rapporto con questa donna, questa professoressa, accennata soltanto da una lettera puntata, D., ha chiesto spazio e lo scrittore non ha potuto non accontentarlo. Raccontare di lei è come raccontare se stessi. Affiorano luoghi, moltissimi, e immagini, come diapositive impazzite. Di Paolo ci racconta il proprio “io” passato, un alter ego che scalpita e urla per farsi sentire, una timidezza soffusa e repressa, il proprio riversarsi sui libri come mondo altro.
La scrittura come strumento capace di rigenerare la memoria, “scrivere affinché qualcosa possa arrivare a essere“. Paolo di Paolo tratta di uomini e ricordi, di luoghi, spazio, tempo. C’è accuratezza nei dettagli, bisogno di esprimere la propria carica emozionale, voglia di condividere i dubbi e le passioni. Con un linguaggio sereno e immediato tenta di restringere ed allargare, avvicinare e allontanare, distaccarsi e sovrapporsi donandoci quella bellezza delle cose nate dal cuore ma partorite da chi ha il dono supremo della scrittura.
Paolo Di Paolo è nato a Roma nel 1983. Esordisce con Nuovi cieli, nuove carte (Empirìa 2004, finalista al Premio Italo Calvino), scrive con Antonio Debenedetti (Un piccolo grande Novecento, Manni 2005) e con Dacia Maraini (Ho sognato una stazione. Gli affetti, i valori, le passioni, Laterza 2007, 3 edizioni). Nel 2006 ha pubblicato Come un’isola (Perrone, Premio Vigevano – Lucio Mastronardi Autore Under 30). Nel 2007, Ogni viaggio è un romanzo. Libri, partenze, arrivi (Laterza, 2 edizioni) in cui ha dialogato con i grandi autori italiani, da Camilleri a Tabucchi. Nel 2008 pubblica Raccontami la notte in cui sono nato (Perrone, 3 edizioni). Scrive di libri su “l’Unità”, “il Riformista” e “Nuovi Argomenti”.
mi pare la critica più giusta di tutte quelle pubblicate sul libro di PAOLO….le parole sono pesate nella loro bellezza.