Dead city (Fazi 2013), dell’ americano Shane Stevens, considerato un maestro del noir da James Ellroy e Stephen King, è un romanzo splendido e dolente su cosa il male – quello piccolo, meschino, del sottobosco della criminalità organizzata -, può fare alle persone piccole. Non i grandi criminali, i boss, ma chi sta nel mezzo, tra il mondo dei buoni e quello dei cattivi, e in quello dei cattivi ci capita più che sceglierlo.
I protagonisti del romanzo sono uomini di cinquant’anni come Charley Flowers e giovani di venti come Harry Strega, tutti alle dipendenze di Joe Zucco, uno dei due boss di Jersey City negli anni Settanta. E tutti vogliono farsi strada e diventare come lui, o più di lui: la moglie, l’amante, la villa, l’auto. E soprattutto, il potere. Di decidere la vita e la morte, ricattare, sfruttare, uccidere. Il potere che ti fa dimenticare da dove vieni-i caseggiati di periferia, le domeniche grigie, le famiglie sgangherate, la mancanza di affetto – e ti dà l’impressione di poter avere tutto.
Tra rapine, consegne di partite di eroina, locali notturni di dubbia gestione, ragazze facili e camere d’albergo, i “picciotti” di Joe Zucco si danno da fare per scalare la piramide del crimine, aiutando il boss nella sua eterna lotta contro il rivale Alexis Machine. Stevens ci fa vedere davanti agli occhi, con grande efficacia, il mondo della malavita italoamericana nel New Jersey dell’epoca, con tutto il suo variegato repertorio di azioni criminali, strozzinaggio, estorsioni, gioco d’azzardo. Di Joe Zucco fa vedere l’amore per il potere, l’ossessione del controllo, la lealtà e il rispetto come cardini di un codice d’onore senza il quale – come in una qualunque impresa – verrebbe meno ogni equilibrio tra fazioni, e quindi ogni possibilità di guadagno.
Ma Stevens è grande soprattutto nella descrizione della fragile, illusoria ascesa dei Flowers e degli Strega, criminali di basso rango, che cercano di sottrarsi con le unghie e coi denti a un futuro di povertà come quello che hanno conosciuto i loro padri e i loro nonni. Che sono disposti a rubare, forse a uccidere per una vita diversa. Ma che in fondo, e questo li salva come uomini e al tempo stesso li fa perdere per sempre come criminali, restano umani. Per loro uccidere non è una cosa da nulla, non è il solito lavoro. In fondo resta sempre un senso di sbagliato, di tristezza, di disfatta. Come dice Charley Flowers: “La sua vita avrebbe finito per essere inutile come quel cavolo di fumetti alle pareti? Tutto quello che avrebbe avuto sarebbero stati alberghi e donne da due soldi, uomini che avevano paura di lui e altri di cui aveva paura lui, senza mai niente di suo, con tutto che puzzava di addio?”.
Shane Stevens pseudonimo dello scrittore americano nato a New York nel 1941, sparito dalla scena pubblica a partire dagli anni Ottanta e morto nel 2007, è autore di Io ti troverò (Fazi 2010), considerato il suo capolavoro e l’antesignano della letteratura sui serial killer, e de L’ora della caccia (Fazi 2012).
Autore: Shane Stevens
Traduttrice: Giuseppina Oneto
Titolo: Dead City
Editore: Fazi
Anno di pubblicazione: 2013
Pagine: 407
Prezzo: 16,50 euro