Anche con Pierre Klossowski (e George Bataille e Gilles Deleuze fra gli altri) cominciava mezzo secolo fa la renaissance del pensiero di Friedrich Nietzsche, contemporaneamente allo scivolamento nell’ombra (doveroso) delle letture marxiste e naziste. Ne Il circolo vizioso – opera del 1969, ripubblicata in questi giorni da Adelphi – Klossowski assume come principio non accidentale e tutt’altro che deviante la malattia del filosofo tedesco. Gli scritti ultimi, i frammenti, la vicende biografiche stesse (ossia ciò che una banale “storia della filosofia” – impegnata com’è a rinsaldare un consolatorio quanto inutile canone storiografico – tenderebbe a espungere dal lascito nicciano), costituiscono così il cuore della ricerca.
Il delirio di Nietzsche in questa lettura non è più evenienza patologica e distruttiva ma esito pressoché inevitabile non solo di una biografia psichica e corporale ma approdo necessario di una genealogia che al suo punto limite riconosce l’inconsistenza fraudolenta dell’identità, il fondamento pulsionale e tutt’altro che neutro del mero concetto, la cartografia indicibile di trucchi che definiamo coscienza (“L’io è una nevrosi intermittente, e l’uomo è ancora lontano dall’essere guarito”, scriveva qualche anno Michel Houellebecq).
Il “pensiero” – e a maggior ragione nel caso specifico Klossowski usa le virgolette – ha da fare con origini tutt’altro che “astratte” o “pure”. Le sue scaturigini vanno cercate piuttosto nello stesso mondo organico (nelle forze che producono la volontà di potenza). Il linguaggio codificato si limita a imprigionare il caos degli impulsi, ed ecco perché il delirio nicciano (lo scardinamento, generato dalla malattia, dal dolore del corpo, di un codice verbale) può figurarsi come smascheramento sintomatico del sapere, della cultura, di ciò che troppo facilmente definiamo coscienza.
Nella sua sostanziale indecidibilità, “questo stesso pensiero ruota attorno al delirio come attorno al proprio asse”: Klossowski prende sul serio la malattia di Nietzsche, ma ribaltandone il senso, il valore, in un segno niente affatto miserabile quanto necessario. Lungi dall’essere una devianza rovinosa, essa approssima il compimento non solo della sua filosofia ma del sapere occidentale – ciò che altri definiranno fine della metafisica. E lo fa per via di errori successivi che lo stesso Nietzsche non sa (non può) evitare: uccidere la ragione per mezzo della ragione è impresa complicata. Ne fu testimone un cavallo a Torino, il 3 gennaio del 1889.
Ora, anche volessimo vederla esternamente, alla luce empirica del poi, risulta indiscutibile che quando Nietzsche in un capitolo di Ecce homo scrive “Perché sono un destino” il delirio avvicina qualcosa di essenziale. Certo, potrebbe sembrare un cattivo scherzo di quelli rubricabili come “eterogenesi dei fini” il fatto che abbia avuto ragione. Il frantumarsi della linea di confine fra realtà e irrealtà di cui tutti partecipiamo, oggi più che farci rallegrare di un liberatorio sconfinamento nel regno parodico del gioco – dell’assenza di verità – insinua nei più un senso di angoscia.
Pierre Klossowski è stato uno scrittore, traduttore e pittore francese. Fra le sue opere Le bain de Diane (1956; trad. it. 1962); Le baphomet (1965; trad. it. 1966).
Autore: Pierre Klossowski
Titolo: Nietzsche e il circolo vizioso
Editore: Adelphi
Traduzione: Enzo Turolla
Anno di pubblicazione: 2013
Pagine: 360
Prezzo: 28 euro