Kenzaburō Ōe, premio Nobel nel 1994, ha spesso avuto come principale fonte ispiratrice dei suoi romanzi se stesso e ne Il bambino scambiato (Garzanti 2013)è come se fosse stato spinto dall’intento di andare alla radice di un ossessivo autobiografismo. In effetti l’eterogeneo materiale del libro si offre al lettore in forma di divagazione, ai limiti dell’onirico, del protagonista, una sorta di flusso di coscienza sistematicamente frustrato nello sforzo di adeguarsi alla linearità cronologica e spaziale di un testo letterario. in altri termini, è la confessione dell’impossibilità di trarre un bilancio definitivo dalla propria esperienza esistenziale e soprattutto artistica.
L’urgenza dell’introspezione è legata nel protagonista, l’anziano scrittore Kogito/Oe, al bisogno di stabilire un contatto ravvicinato con la morte: il suo migliore amico, il cognato Goro, regista cinematografico( nel personaggio è riconoscibile Juzo Itami, il cognato dello scrittore morto suicida) si è suicidato ma Kogito continua a dialogare con lui, sentendone la voce registrata nella audiocassette lasciategli in eredità. Per quale ragione Kogito non riesce a rinunciare ai colloqui immaginari con il defunto? Vuole comprendere i motivi misteriosi del gesto o piuttosto intende marcare la linea invisibile che divide il mondo dei vivi da quello dei morti? Probabilmente la temeraria impresa della scrittura di Oe consiste nell’osare varcare il confine fra l’essere vivi e il non esserlo più: abitare nell’aldilà tramite le conversazioni notturne con chi non è più equivale a recuperare l’immagine di sé perduta quando si vive nella realtà quotidiana.
Se il tempo è morte, è la morte che dobbiamo ritrovare, esclama il protagonista, parafrasando Proust: esplorando quella voragine oscura ci si imbatte in quel bellissimo sé sottrattoci dal caso che solo Akari il figlio di Kogito, nato rugoso e ritardato, attraverso la musica riconquista e di cui forse il suicida gettandosi nel vuoto crede di riappropriarsi. L’identità attribuitaci dalla società è vuota menzogna, lo intuisce Chikaski, moglie di Kogito e sorella di Goro, riconoscendo gli eventi della sua famiglia nella leggenda di una bambina rapita dai goblin e sostituita da un simulacro: un dramma sepolto nel passato le ha sottratto il fratello per sempre e al posto suo lei ha avuto accanto una parvenza. E a quel trauma lontano, dal quale il bambino scambiato ha avuto origine, tutti i personaggi del libro vogliono tornare: vi alludono, cercano di ricostruirlo ma esso sfuma in un intreccio romanzesco nel quale colpi di stato velleitari di un gruppo di giovani nazionalisti, yazuka ed eros si confondono, rendendo inafferrabile la verità.
Ma in conclusione come dobbiamo classificare Il bambino scambiato? Una favola, un giallo, un diario, la raffinata rêverie di uno scrittore? Non ci sono dubbi! Ogni romanzo presenta simulacri illusori della verità ed è già bambino scambiato ancor prima di nascere.
Kenzaburō Ōe è nato nel 1935 nell’isola dello Shikoku, nel sud-ovest del Giappone. Scrittore di fama mondiale, ha vinto il Premio Nobel per la letteratura nel 1994, oltre a numerosi altri riconoscimenti, tra i quali il Premio Europalia nel 1989 e il Mondello nel 1993. Tra le sue opere Garzanti ha attualmente in catalogo Insegnaci a superare la nostra pazzia, Il grido silenzioso, Gli anni della nostalgia, Un’esperienza personale, Il salto mortale e La vergine eterna.
Autore: Kenzaburō Ōe
Titolo: Il bambino scambiato
Editore: Garzanti
Traduzione: Gianluca Coci
Anno di pubblicazione: 2013
Pagine: 448
Prezzo: 24 euro