Il 1969, un favoloso anno rock. Da Abbey Rock a Woodstock

1969Ne è passato di tempo da quei fatidici anni. Millenovecentosessantotto e millenovecentosessantanove, la rivoluzione culturale. In “1969” (Giunti, 2009) Riccardo Bertoncelli traccia le linee di quella stagione attraverso la musica.

Che anni! Se sul primo dei due si è detto molto, moltissimo, sul secondo si è detto molto meno. Sì perché il 1969 è l’anno di Abbey Road e soprattutto di Woodstock, “l’evento degli eventi”. Ma non solo: in questi mesi si è messa in atto una vera e propria rivoluzione artistica, una mutazione sociale e culturale, che è passata per dischi, concerti, storie, festival che ancora restano, a distanza di decenni, nell’immaginario collettivo.

Musica come protezione invisibile di una generazione, di una America guida che tra suggestioni beat e on the road cercava di lasciare alle spalle i dubbi di una guerra ingiusta, le atrocità ingiustificate, la voglia e il sogno di un mondo migliore.

E poi l’Europa ancora in ricostruzione, i ritornelli che saltellano da un paese all’altro. E noi ad aspettare i De Andrè, i Guccini, i De Gregori, che arriveranno da qui a breve, e a cantare Battisti, il primo, quello di Un’avventura. Ma nel 1969 già finivano i Beatles, le ultime jam sessions, Lennon e le sue nuove strade, Yoko Ono e quel maledettissimo giorno del 1980. Utopie e sogni, velletià di una generazione che forse ha cambiato il mondo, o almeno un certo modo di pensare. L’anno dei mega-raduni. Woodstock, ma non solo. Milioni di ragazzi e di ragazze in continuo movimento, corpi, capelli, sguardi e palchi affollati di artisti che diventeranno negli anni vere e proprie leggende. Energia pulita, speranze pacifiste.

Leggende appunto. Ma soprattutto artisti. Quelli che da lì a pochi mesi se ne sono andati, entrando di diritto in una sorta di mitologia contemporanea: i Rolling Stone Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin. E quelli che sono rimasti, chi intraprendendo strade diverse, soliste, e chi cercando di mantenere le formazioni che sono entrate nella storia del rock: Crosby Stills Nash & Young, i Led Zeppelin, quel geniale gruppo di architetti dei Pink Floyd, i King Crimson, i Jethro Tull di Jan Andersson, Carlos Santana e i brividi della sua chitarra. Millenovecentosessantanove, l’anno dello sbarco sulla luna e una generazione a cercarne l’altro lato, quello oscuro, suonato e cantato da Roger Waters e compagni.

Gli ultimi dischi dei Beatles, Let it be e Abbey Road, il concerto sull’edificio della Apple, il primo dei Led Zeppelin. Nelle sale esce Easy Rider, Miles Davis registra Bitches Brew, si scioglie la Jimi Hendrix Experience, la crisi dei Doors, la rinascita di Bob Dylan. Tantissimo materiale, una miriade di storie che riempiono trecento pagine illustratissime. Un vero e proprio atto d’amore a una generazione che ha sempre amato la musica, modellandone, sopra, la propria vita.

Riccardo Bertoncelli, critico e giornalista italiano. Nel 1973 pubblica Pop Story (Arcana), opera atta a scoprire artisti allora poco conosciuti. La sua attività a livello giornalistico inizia nel 1974, collaborando con Muzak e successivamente in veste di co-fondatore con Gong, riviste specializzate in musica e dal taglio “alternativo”. Negli anni settanta si muove nelle cosiddette “radio libere”. Nel 1981 riprende la collaborazione con Arcana, come direttore di collana e successivamente, nel 1985, come direttore editoriale. È sotto al sua direzione che viene pubblicata la imponente ed ambiziosa Enciclopedia del Rock. Dal 1995 collabora con la Editrice Giunti, curando la collana Bizarre dedicata alla musica.

Tra il 1996 e il 1998 è stato direttore artistico del Salone della Musica di Torino. Dal 2001 pubblica settimanalmente tre recensioni per il sito musicale DelRock.it, di cui cura anche la sezione Highway 61. Oggi Bertoncelli è ancora uno dei più noti critici musicali, scrive ancora sulle più prestigiose riviste del settore (da quasi trenta anni scrive su Linus), e, abbandonata da tempo l’esperienza delle radio libere, scrive libri.