Dire Curzio Malaparte significa provocazione. Eppure in questi anni l’interesse nei suoi confronti è cresciuto notevolmente, basti pensare alle pubblicazioni della Adelphi che ultimamente ha sfornato un piacevole inedito “Coppi e Bartali”, una riedizione di Kaputt, una raccolta di saggi di Milan Kundera, “Un incontro”, in cui, nel più folgorante, accenna allo scrittore pratese come voce disarmante di quella “cupa bellezza di una realtà diventata folle, la nuova Europa nata da una immensa disfatta(…).”
Questo è stato possibile anche e soprattutto grazie allo stemperamento della “questione politica” che aveva inquadrato lo scrittore in uno o più schemi quantomeno approssimativi. L’immagine che ne scaturiva era quella, come molto bene afferma Giuseppe Pardini, di «un narratore e giornalista geniale ma senza principi, di un esteta raffinato e gaudente, di un uomo disposto a transitare senza problemi da una parte politica all’altra». In questa maniera però si è istituzionalizzata una leggenda priva di fondamento e si è reiterato in un errore di valutazione amplificando da un lato i difetti dell’uomo (che comunque ce ne sono) e sminuendo, dall’altro, i meriti letterari ed artistici che sono moltissimi.
Malaparte è stato, per il Novecento, un protagonista di statura europea: volumi come Kaputt o La Pelle o anche Tecnica del colpo di stato (che ha avuto la particolare storia editoriale di uscire prima in Francia che in Italia) sono opere ancora molto amate (e lette) sia in Europa che in America. Certo, la personalità dello scrittore è e rimane tanto sfaccettata e ricca di chiaroscuri da apparire difficilmente penetrabile, ma sembra che, almeno apparentemente, si sia ri-iniziato a discutere sul valore, a mio avviso, indiscutibile di alcune sue opere e del suo pensiero politico che, volenti o nolenti, ha accompagnato alcune stagioni fondamentali del nostro paese.
Dopo il cinquantenario dalla morte festeggiato a Prato nel 2007; l’uscita dell’inedito Il compagno di viaggio (Excelsior 1881, 2007); una nuova edizione tascabile (con nuova veste grafica) dell’accurata biografia di Giordano Bruno Guerri, L’arcitaliano – vita di Curzio Malaparte (Bompiani, 2008), pubblicata per la prima volta nel 1980; l’adattamento teatrale de La pelle da parte di Marco Baliani, progetto di coproduzione tra la Fondazione Teatro Metastasio di Prato e il Mercadante di Napoli questi testi usciti per i tipi della Adelphi (che ha comprato tutti i diritti appartenuti prima a Mondadori) ci permettono di comprendere quanto quest’autore ancora oggi susciti interesse e discussioni non solo letterarie.
L’Europa di Malaparte è Kaputt, i popoli e gli uomini sopravvissuti sono Kaputt, la coscienza collettiva è Kaputt. La guerra devasta e porta via tutto, l’incubo del disfacimento trionfa su ogni possibilità di redenzione. Kaputt è un libro crudele perché parla di una crudeltà vera, reale, quella derivata dall’esperienza di una Europa ferita a morte dalla guerra. I popoli e le nazioni sono accomunati dallo stesso odore acre del sangue, dagli stessi stimoli, dalla fame, dalla sete. È una Europa sporca, mutilata, deformata. Kaputt è il macrocosmo de La pelle. Lì è Napoli novella Gomorra ante tempo, teatro di atrocità e di sconfitte. Lo sa bene Kundera che nel suo saggio cerca di tracciare le linee di queste opere trovando modelli e definizioni di genere.
Ma cosa c’entrano Coppi e Bartali? I due ciclisti rappresentano “la nobile lotta tra due campioni e tra due volti immutabili del nostro paese”, ma non è la solita dicotomia malapartiana, è l’espressione allegorica della nuova Italia uscita dalla seconda terribile guerra mondiale. Bartali è un uomo antico, ha nelle sue vene ancora un po’ di superomismo eroico-decadente, Coppi è l’uomo moderno, moderno nel fisico e nella morale. La loro è una rivalità pura, bella, fraterna. Si tratta di sport, non di politica. Coppi e Bartali con Kaputt c’entrano moltissimo, perché se il romanzo del 1944 racconta la disfatta dell’Occidente, questo piccolo liberculo, interessante e squisito, racconta allegoricamente l’uomo uscito da quelle macerie. Con il suo doppio volto e le sue contraddizioni.