Morten Falck, il tormentato protagonista del corposo romanzo dello scrittore danese Kim Leine, Il fiordo dell’eternità (Guanda 2013) è un uomo del suo tempo: ha introiettato la massima di Rousseau “l’uomo è nato libero ed è in catene”e vorrebbe ispirarsi ad essa in ogni circostanza della sua vita.Siamo nel secolo dell’illuminismo e da Parigi l’incendio della rivoluzione pare propagarsi in tutta Europa: Morten, nato nel 1756 in uno sperduto villaggio norvegese, ha visto morire di malattia i fratelli, dovrebbe obbedire al padre, diventare sacerdote, ma crede nell’innocenza dello stato di natura e alla teologia preferisce la scienza, alle preghiere la dissezione dei cadaveri nei laboratori dell’Università. Con tali premesse, la sua potrebbe essere una storia edificante e banale, ove il lettore assiste alle peripezie dell’eroe idealista in lotta contro una società iniqua.
In realtà Il fiordo dell’eternità non è un romanzo storico o meglio lo è in senso più profondo: il cuore del libro è infatti la messa in discussione dei capisaldi del pensiero europeo, la cui crisi attuale (crisi che è prima che economica culturale) Leini ha voluto rappresentare, nella forma del classico romanzo realista alla Balzac, partendo dalle sue radici filosofiche-letterarie illumistiche. Morten è si figlio del ‘700, ma la disamina spietata, cui viene sottoposto, lo rende profeta del disorientato abitante contemporaneo del Vecchio Continente: le sue esperienze prima nella Copenaghen fra il 1782 e il 1787 poi nella colonia danese in Groelandia a contatto con i selvaggi gli consentono di esplorare fin nel profondo la propensione naturale dell’animo umano alla degenerazione morale e dunque alla negazione dell’innocenza originaria.
Fin da quando studente fruga i recessi sordidi della città egli riconosce nel paesaggio degradato i sintomi della sua stessa malattia: abbandonando la normalità di una fidanzata borghese, sprofonda nel delirio dell’eros, irresistibilmente attratto da un ermafrodito incontrato in una locanda. La fuga fra i selvaggi nel ruolo di missionario non è che un’illusoria fuga dal se stesso sottoposto all’azione corruttrice della civiltà. Lo attendono invece allucinazioni, deliri e l’irresistibile forza del peccato: egli trasgredisce i comandamenti di un Dio in cui neppure crede e, infermo nella volontà e nel fisico, assiste da predicatore commediante agli orrori di un universo, posto ai confini estremi dell’ecumene, caratterizzato dall’incesto, dallo stupro e da una solitudine sconfinante nella follia. Se presente e futuro coincidono, chissà se è mai esistito davvero il libero eden ipotizzato da Rousseau? Morten convalescente dopo un incidente viene portato a un villaggio sul cosiddetto “Fiordo dell’eternità” dove l’idillio richiama in vita persino i morti Ma forse è un’allucinazione: l’utopia dei filosofi si disperde del resto al primo colpo di fucile dei soldati.
Kim Leine, nato nel 1961 in Norvegia, si è trasferito in Danimarca a diciassette anni. Dopo la formazione come infermiere, ha lavorato in Groenlandia per quindici anni. Nel 2004 è tornato in Danimarca e ha consacrato la sua professione di scrittore al racconto della Groenlandia e degli straordinari incontri umani che ancora è possibile fare in quella terra. Ha all’attivo tre romanzi, affermatisi in Danimarca con consenso unanime di pubblico e di critica
Il fiordo dell’eternità è stato tradotto da Ingrid Basso
Autore: Kim Leine
Titolo: Il fiordo dell’eternità
Editore: Guanda
Anno di pubblicazione: 2013
Pagine: 594
Prezzo: 20 euro
*articolo di Augusto Leone