L’eclettico autore bolognese Gianluca Morozzi ha recentemente affrontato il tema delle “sofferenze del mestiere” nel suo ultimo romanzo, edito da Guanda, “Lo scrittore deve morire”, lodevole prova di autoironia pervasa di italianissimo humour. Scritto a quattro mani col padovano Heman Zed, il racconto delle “Epiche gesta di due aspiranti autori di best seller” ci riproietta nell’universo tragicomico morozziano, luogo tanto esilarante quanto scandalosamente parodico.
Allora, Gianluca. “Lo scrittore deve morire”, da lei definito una parodia del mondo editoriale di oggi, può essere considerato un nuovo tassello di quello che qualcuno, adottando un’espressione del mondo supereroi stico a te familiare, ha definito il ‘Morozzi-verse’. Vi ritroviamo, infatti, il mitico editore Ubermensch Belasco e il suo irresistibile entourage, nonché una situazione-cornice simile a quella di Lajos in “L’era del porco”, anche lui alle prese con le improbabili strategie promozionali della piccola editoria. So (perché naturalmente le è stato già chiesto) che l’idea è nata insieme ad Heman Zed sul Grande Raccordo Anulare di Roma mentre vi recavate a una presentazione comune. Qual è stato, in questa genesi, il contributo di un collega con cui, almeno a giudicare dal risultato, ha trovato una sintonia perfetta? Lo chiedo perché, da lettrice della maggior parte dei suoi libri, vi ho riconosciuto un impianto narrativo tipicamente suo…
“Eh, un contributo notevole, direi… lo spunto di partenza viene da lui, Arcovaldo Cacciapuoti l’ha inventato lui, le poesie di Lothar (a parte una) sono sue… Poi, per fortuna, i nostri cervelli ragionano nello stesso assurdo modo e abbiamo trovato una perfetta sintonia. E a un certo punto ha avuto l’ottima idea di togliere lo Sbriciolatore di La Spezia dal corpo della storia, in cui compariva verso i tre quarti del libro, per farlo protagonista di un minaccioso epilogo.”
Si è spesso parlato di come molte delle situazioni e dei personaggi descritti nei tuoi libri provengano da esperienze autobiografiche (il suo travolgente senso dell’umorismo non è presumibilmente estraneo alla transazione, n.d.r.). Mi dice un momento di “Lo scrittore deve morire” in cui c’era davvero?
“Uno solo? Non so dove cominciare… dalla camminata sotto il sole fino al ponte di Calatrava agli esordi minimali di Luca Graziani alla libreria moribonda al salatissimo conto lasciato da pagare in un ristorante alla presentazioni in similofficine di elettrauto riconvertite in circoli culturali… Questo romanzo è un po’ quello che è Boris per il mondo della tv spazzatura: neorealismo.”
Il personaggio del grande critico letterario Arcovaldo Cacciapuoti, coi suoi vizi e i suoi intercalari, e quel suo continuo deambulare sul filo del “ci è o ci fa”, è tra i più riusciti del romanzo. Domanda alquanto insidiosa: ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale?…
“In realtà il personaggio è frutto di invenzione, quello che Heman definisce “quel che vorrei essere da vecchio: ricchissimo e completamente pazzo”. Avendo conosciuto svariati critici letterari, peraltro, posso dire che l’obiettivo della pazzia è sempre dietro l’angolo.”
La svista di un editore avvinazzato, due umanissimi scrittori sconosciuti, un orrendo libro da promuovere, e un tour attraverso l’Italia dagli esiti imprevedibili. In tutto ciò, il tema dell’amore, legato al personaggio di Silvia, una ex fatale contesa tra i due protagonisti Tanzi e Portali, attraversa la vicenda determinando una sorta di tragicomico pasticcio che: 1) fa crollare miti letterari; 2) rischia di compromettere amicizie; 3) evolve verso esiti paradossali. La tecnica del “freezer” adottata da Francisco Portali per adescare le donne a me ha ricordato il Will di Nick Hornby e la sua predilezione per le mamme single. Non c’è una sorta di attualissima “strategia della difesa” in questi sistemi, come dire, relazionali?
“Be’, il freezer è tutta farina del sacco di Heman Zed, che peraltro –essendo sposato con la bravissima scrittrice e poetessa Laura Liberale- mi sta passando le sue utili tecniche ormai da tempo abbandonate. Il problema è che noi scrittori abbiamo un piccolo virus impiantato in testa, per cui, tra una trama e una fidanzata, inconsciamente, ahimè, ogni tanto esitiamo. E se la nostra ragazza ci lascia per un cavallo, quella piccola parte del nostro cervello che funziona in Times New Roman corpo 14 ci suggerisce Lascia che vada, lascia che vada, anzi, fatti raccontare i dettagli della tresca, non è un’idea bellissima per il prossimo romanzo?”
Nei suoi libri ricorrono spesso la moltiplicazione dei punti di vista e gli scarti temporali (i marziani in “L’era del porco”, i due io narranti e gli universi paralleli in “Colui che gli dei vogliono distruggere”, stavolta le voci “fuori campo” e/o cronologicamente in differita di alcuni testimoni, basti pensare al fan psicopatico di Portali, per esempio). Bisogna possedere una disinvoltura narrativa non indifferente per far sì che il meccanismo funzioni senza disorientare il lettore .
“Vedi sopra. No, be’, la moltiplicazione dei punti di vista annulla la monotonia e il rischio di appiattimento, e diverte molto me e anche i lettori. Questo romanzo poi non conosce la vergogna, c’è Al Pacino, c’è il fantasma di Bukowski, c’è un premio Nobel del futuro, c’è di tutto…”
È possibile sperare in un sequel delle “epiche gesta” di Tanzi e Portali, coppia degna della migliore tradizione letteraria picaresca?
“Ieri, di ritorno da due giorni di presentazioni tra Bergamo e Recanati (tipica organizzazione dei tour alla Tanzi-Portali), più che ai due cialtroni pensavamo a qualcosa con Cacciapuoti, lo Sbriciolatore di La Spezia, Belasco e il nuovo autore Bernardino Perticone, quello costretto a scrivere la serie Michelangelo indaga. Vedremo. Ora però ho un romanzo interminabile da finire in solitaria: si intitola L’uomo liscio, e prima o poi smetterò di scriverlo…”
Una curiosità personale dettata dal fatto che, in qualità di fan, ho molto a cuore la sua vena creativa: le è mai capitato di avere una crisi alla Luca Graziani, altrimenti detta “blocco dello scrittore”?
“No, decisamente no, la mia vena creativa sta benissimo e i miei blocchi dello scrittore durano un pomeriggio, non di più. Tra romanzi da finire, romanzi mezzi iniziati, romanzi abbozzati, sinossi appuntate, direi che fino al 2020 non avrò problemi di questo tipo.”
Gianluca Morozzi è nato nel 1971 a Bologna, dove vive. Presso Guanda ha pubblicato i romanzi “Blackout”, “L’era del porco”, “Despero”, “Colui che gli dei vogliono distruggere”, “Cicatrici” e “Chi non muore”; il saggio “L’Emilia o la dura legge della musica” e il graphic novel “Il vangelo del coyote”.
Autore: Gianluca Morozzi
Titolo: Lo scrittore deve morire
Editore: Guanda
Anno di pubblicazione: 2012
Pagine: 313
Prezzo: 18 euro