Nella Presentazione di “Una vita, quasi due” di Miriam Mafai (Rizzoli) la figlia Sara Scalia che ha curato il volume rivela che era stata la stessa scrittrice, giornalista e politica a suggerire senza volerlo questo titolo all’editore. “Una vita? Forse quasi due…”.
“Il titolo di questo libro sarebbe piaciuto molto a mia madre”.
In effetti, il lettore si accorge che nonostante il racconto si interrompa a metà degli anni Cinquanta a causa della scomparsa della Mafai avvenuta il 9 aprile del 2012, questa donna da sempre libera da qualsiasi pregiudizio ha veramente vissuto due esistenze. La giornalista per anni non aveva voluto scrivere un’autobiografia, perché riteneva questo esercizio “un’inutile esibizione di sé” anche se “avrebbe avuto molte cose interessanti da raccontare”. L’intera esistenza di Miriam, infatti, è stata incastonata nei momenti cruciali del secolo scorso e non solo per quanto riguarda il nostro Paese. Scrivere quindi per raccontare “dal suo personalissimo punto di osservazione” tutti quegli avvenimenti privati e pubblici che aveva veduto, vissuto e che avevano cambiato il mondo. Dopo una lunga gestazione, la Mafai si mise all’opera con un’alacrità dettata non solo dal suo carattere ma anche dalla malattia. Duecento pagine corredate da foto di famiglia “frutto di poco più di un anno di lavoro” nelle quali i capitoli sono stati interamente scritti e titolati da lei stessa. Secondo una nota della giornalista/scrittrice il libro si sarebbe dovuto chiudere “con i terribili anni novanta, la fine di Craxi, la fine del Pci… la morte di Giancarlo” (Pajetta, NdR). Sara Scalia in appendice ha inserito alcuni articoli della madre (eccetto quelli di Repubblica di cui esiste già una pubblicazione importante) “per restituire l’idea di un percorso professionale onnivoro segnato da curiosità e mancanza di pregiudizi”.
“Sono nata sotto il segno felice del disordine” – premette l’autrice – il 2 febbraio 1926 a Firenze. Miriam era figlia del pittore Mario Mafai “piccolo e bruno, di origine abruzzese” (tra i fondatori della corrente artistica denominata Scuola Romana) e della scultrice Antoinette Raphael ebrea lituana figlia di un rabbino. Gli artisti si erano conosciuti all’Accademia del Nudo di via Ripetta “avevano storie, culture, abitudini, religioni diverse”. Suggestive le pagine del soggiorno parigino di Mario e Antoinette nel 1930 dove la coppia soggiornò in cerca di fortuna “deve venire a Parigi chi vuole essere chiamato pittore” dopo aver affidato a Roma alla nonna paterna le tre figlie Miriam, Simona e Giulia. Alla periferia di Montparnasse, ai margini di questa città immersa nella luce del Nord, i genitori della Mafai conducevano una vita da studenti poveri mentre Giorgio De Chirico e Gino Severini avevano ottenuto riconoscimenti e successi.
Nel “nostro lessico familiare, nella nostra memoria infantile, Parigi si sedimentò come una favola” dove si intrecciavano miseria e bellezza, sporcizia e gloria, i clochard e i pittori. Restò sempre nelle tre bambine “il desiderio di quella città, l’amore per la sua lingua, la sua storia, i suoi poeti”. Nell’Italia fascista di allora la famiglia Mafai spiccava per essere una famiglia fuori dalle regole (Mario e Antoinette si erano sposati nei primi anni Trenta), nella quale “nessuna di noi figlie è stata battezzata”, “ebrei senza fede ma con la memoria di un passato”. Nella villetta di piazza Indipendenza il vecchio atlante paterno stimolava la fantasia delle bambine. Qui non si potevano trovare i recenti successi di Mussolini in Abissinia, “l’Italia aveva finalmente un impero”, ma imparare dove stava Parigi, indicare con il dito Londra la città dove la madre aveva trovato rifugio dopo i pogrom che avevano devastato la sua terra originaria Kowno, città tra la Polonia e la Russia. L’atlante era visto non solo come un gioco ma come “l’occasione di una precoce educazione politica” che apriva le porte alla fantasia e ai sogni. Per la piccola Miriam Roma allora era un villaggio da attraversare a piedi, iniziando dai prati brulli di Castro Pretorio dove si stava costruendo la nuova università, la scuola in via Montebello, via Nazionale ma all’altezza del Traforo “la nostra passeggiata finiva”. Era il Tevere che segnava il confine del villaggio che non fu più tale quando Miriam per la prima volta accompagnò il padre che andava a dipingere al Gianicolo. Lì, sotto la statua equestre di Garibaldi “nella luce rosata del mezzogiorno”, c’era Roma “quel mare disteso di tetti, di cupole, di guglie, di ponti, campanili, palazzi e chiese”. Era l’Urbe che ritroviamo dipinta da Mafai nei suoi tanti scorci capitolini (Le case del Foro Traiano olio su tavola 1930 e Demolizione di via Giulia olio su tela 1936, che si possono ammirare presso la mostra permanente della Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale in via Crispi, 24) e nell’olio su cartoncino Accademia di Belle Arti esposto insieme con altre opere di Guttuso, Corpora, Omiccioli, Donghi e molti altri ancora (1).
Un “dizionario esistenziale” che dosa infanzia, giovinezza, impegno politico, le tante battaglie combattute dalla Mafai, una carrellata sul nostro passato. Passioni, ricordi, testimonianze che ci appartengono, che fanno parte del nostro comune sentire e partecipare. Genova, guerra: “era l’estate del 1939, un’estate di umiliazioni e di presagi”, “a Genova ho scoperto il mare… “e a Genova ho conosciuto la guerra”. Identità: “credo di essere diventata comunista durante la guerra… per l’ammirazione profonda che, dopo la resa di Parigi, aveva suscitato in noi la resistenza e la vittoria di Stalingrado, ma anche per un desiderio profondo di giustizia sociale e di uguaglianza… ”, “a 17 anni ho incontrato il Partito Comunista e me ne sono innamorata. La mia è dunque una storia d’amore”. Roma, la Resistenza: “tra il settembre del ’43 e il giugno del ’44 Roma è una città torva, impaurita, affamata, disperata. Una città che cova la ribellione… ”, “il ricordo più intenso è la fame… ”. L’Aquila: “i dirigenti del Pci in Abruzzo erano tutti giovani”, “L’Aquila mi apparve come una città gradevole… ”. Fucino: “ho capito cosa fosse la fatica e la vita contadina solo nel corso dei mesi in cui ho vissuto ad Avezzano e nella Marsica partecipando alle lotte dei braccianti e degli affittuari dei Torlonia”. Abruzzo: “a giugno del ’51 ero stata eletta consigliere comunale a Pescara strana città a nastro stretta tra i colli e il mare”. Mosca: “1956, anno indimenticabile che costrinse tanti a scelte difficili e a dolorosi esami di coscienza”, “il nostro rapporto con l’Unione Sovietica era segnato dalla fedeltà e dall’ammirazione”. Parigi: “sono uscita dalle Botteghe Oscure, ho abbandonato il mio ruolo di funzionario di partito senza traumi, senza rimpianti”, “sono arrivata alla Gare de Lyon alla fine del 1956, con mio marito, i nostri bambini… ”, “avevo 30 anni e una gran voglia di cambiare”.
Fondamentale è stato per Miriam Mafai “vivere a occhi aperti” e questa autobiografia lo dimostra. Con questo atteggiamento mentale di totale apertura al mondo la giornalista/scrittrice si è congedata dalla vita “lasciandoci sulla scrivania la poesia riportata all’inizio del libro”(2).
(1) 100 SGUARDI SU ROMA – dalla collezione d’Arte di BNL Gruppo BNP Paribas”, promossa da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali e composta da 104 opere delle due importanti collezioni di BNL “Cinquanta pittori per Roma” e “Cinquanta pittori per Roma nel 2000”. La mostra sarà visitabile fino al 25 novembre presso la Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale in Via Francesco Crispi, 24. www.galleriaartemodernaroma.it
(2) Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita. Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio —
una barca che anela al mare eppure lo teme.
(Edgar Lee Masters, George Gray, in Antologia di Spoon River, trad. di Fernanda Pivano, Einaudi, 1943)
Miriam Mafai è stata militante e funzionaria del Pci, giornalista dell’Unità e direttrice di Noi donne, inviata di Paese Sera, editorialista di Repubblica, di cui è stata tra i fondatori nel 1976. Tra i suoi libri, Pane nero (1986), Il lungo freddo (1992), Botteghe Oscure, addio (1996), Il sorpasso (1997), Il silenzio dei comunisti (con Vittorio Foa e Alfredo Reichlin 2002) e Diario italiano 1976 – 2006 (2006).
Autore: Miriam Mafai
Titolo: Una vita, quasi due
Editore: Rizzoli
Anno di pubblicazione: 2012
Pagine: 264
Prezzo: 18 euro
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