Un anno di lavoro a Kabul

prima-bevi-il-te-e-poi-fai-la-guerraResoconto di un anno di lavoro a Kabul, “Prima bevi il tè e poi fai la guerra” è un libro dal sapore dolce-amaro. Non perché sia scritto male, anzi, ma perché la dicotomia tra la Kabul delle strade e il mondo recintato delle ambasciate occidentali è quasi dolorosa.

Senza retorica ovviamente. La forza del libro sta proprio qui, nel mostrare quanto possa cambiare il mondo una volta oltrepassato un cancello con posto di blocco. Nell’ambasciata si beve caffè, si spettegola, si organizzano spaghettate con i militari in servizio, si preparano le cene dell’ambasciatore. “Kabul non è Roma”, dice scherzando una segretaria, e invece l’impressione è che la vita che si vive in ambasciata sia esattamente la stessa che si svolge giorno dopo giorno in un qualunque ministero di Roma. Ma, appunto, Kabul non è Roma, e quando si ha il coraggio di uscire fuori dalle poche residenze privilegiate per occidentali è facile accorgersene.

Qui si trova il cuore del romanzo,
nella Kabul “sgarrupata”, assediata dalla polvere dalla neve, e ridotta a una groviera dalle guerre che l’hanno attraversata impietosa, e possiamo ringraziare di cuore Chiara Cataldi per non essersi lasciata andare a toni pietosi da scoop giornalistico. Kabul è Kabul, nient’altro, nel bene e nel male. È una distesa di case in mattoni e tetti di lamiera che ospita affollati mercati di strada e blindati market occidentali con i gruppetti di mendicanti accalcati intorno alle macchine. Una città che vive di complicate e per noi spesso poco comprensibili convenzioni sociali, con relazioni umane che crescono faticosamente (e per questo forse anche più preziose) tra la cortese distanza degli uomini e gli spazi privati per le donne.

Si può avere la fortuna, per esempio, di essere invitati a un matrimonio, ballare e farsi immortalare con una faccia da funerale vicino agli sposi
(guai a mostrare felicità al momento di lasciare la famiglia di origine), o di contrattare il prezzo di un paio di orecchini davanti a una tazza di tè al cardamomo (niente fretta, prima bevi il tè e poi fai la guerra, appunto). Non un romanzo dunque ma un resoconto della pericolante quotidianità afgana, di una normalità che si va riconquistando tra lo stress dei posto di blocco, i pic-nic ai giardini di Babul, lo shopping di tappeti, il profumo dei panifici di strada, gli orfanotrofi e l’ospedale di Emergency.

Chiara Cataldi è senza dubbio una guida appassionata e non lesina nel dare notizie sulla storia e sui luoghi di Kabul e dell’Afghanistan
. Un libro che una volta chiuso ti mette addosso, nonostante tutto, la voglia di partire per visitare un paese distante, a volte incomprensibile, ma indiscutibilmente vivo, per toccare almeno un po’ l’anima di un popolo che si destreggia con tanta dignità tra la morte e la bellezza.

Chiara Cataldi (Ragusa, 1982) è laureata in Scienze Internazionali e Diplomatiche. Ha trascorso il 2008 lavorando presso l’Ambasciata Italiana a Kabul. Questo è il suo blog: http://treninpartenza.wordpress.com/

Autore: Chiara Cataldi

Titolo: Prima bevi il tè e poi fai la guerra

Editore: Stampa Alternativa

Anno di pubblicazione: 2012

Prezzo: 13 euro

Pagine: 192

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