In “Un’altra donna“ (Giunti, 2012), il romanzo d’esordio di Harriet Lane, giornalista inglese free lance, quella che potrebbe essere una commuovente storia di conforto e di amicizia dopo una tragica perdita assume invece i contorni di un lento e cinico “piano di conquista”. Frances Thorpe è una trentenne piuttosto anonima; vive sola a Londra e lavora alla redazione Libri del Questioner. Le pagine si scrivono più o meno da sole, ma ogni settimana le tocca soccorrere un professore famoso o un genio delle lettere che ha fatto un disastro con apostrofi o participi sbagliati: è una redattrice, un “invisibile robot della produzione”, sempre in porta, in attesa di salvare gli altri dai loro errori. La sua vita – lavorativa e sociale – è tranquilla, anzi, senza alcuno sbocco positivo a breve termine.
Sono da poco passate le sei quando, una domenica, sta attraversando la campagna piatta e deserta sulla strada di ritorno verso Londra dopo la visita ai genitori. Il nevischio spruzza il parabrezza e i fari dell’auto tagliano la pioggerellina, illuminando le immagini deboli e indistinte degli edifici che si profilano nella sera invernale. Improvvisamente, la sensazione che qualcosa non va: una sagoma tra gli alberi del bosco, una specie di strana fonte di luce che proviene dall’intrico umidiccio delle felci e degli arbusti.
Dall’abitacolo di una grossa macchina scura rovesciata su un fianco, proviene il tono sommesso di una voce: la donna – Alice è il suo nome e, nonostante la situazione, si percepisce che si tratta di qualcuno di altolocato e di acculturato – non vuole essere lasciata sola. Le spiega di avere una casa lì vicino e di essere finita su una lastra di ghiaccio ad una velocità troppo elevata. Mentre aspettano i soccorsi, però, Alice emette un rantolo, un lamento sommesso, e smette di parlare: Frances diventa così testimone inutile quanto inconsapevole dei suoi ultimi istanti di vita.
Le prove riscontrate sulla scena dell’incidente confermano la sua versione e l’inchiesta è solo una formalità, ma c’è la possibilità che la famiglia voglia incontrare l’ultima persona che ha parlato con la donna di cui Frances conosce così poco: “Alice Kyte. Circa cinquant’anni. Una casa a Londra e un’altra per il fine settimana. Sposata, due figli grandi”.
Solo una volta tornata alla grigia vita di sempre ed al suo lavoro, non senza i ricordi nitidi e scioccanti di quella sera, la redattrice collega Alice alla moglie di Laurence Kyte, scrittore inglese di successo, vincitore del Booker Prize, e decide di far visita alla famiglia della donna che ha visto morire.
L’incontro avviene presso l’imponente ed elegante casa di Highgate e le permette di avvicinarsi a quel mondo privilegiato che ha potuto conoscere solo dalle recensioni a mezza pagina e dalle cronache mondane. Laurence, un uomo di mezz’età, ancora affascinante, porta i segni del lutto, così come e il figlio maggiore Edward, cortese, ma distaccato e impersonale, e la figlia Polly, studentessa di teatro dal carattere fragile e ribelle, che si aggrapperà a Frances in un modo a tratti po’ patetico. Tutti sembrano confortati, oltre che turbati, dalla bugia che la donna racconta, aggiungendo l’ultima frase che Alice avrebbe pronunciato prima di perdere conoscenza: “Dica loro che gli voglio bene”. È da questo momento che nella sua mente comincia a prendere forma un progetto.
L’apparente vicinanza di Frances ad una delle famiglie più in vista del mondo letterario londinese – che l’autrice riesce a descrivere con ironico realismo – fa sì che sul lavoro le vengano assegnati incarichi sempre più importanti e prestigiosi; inoltre, il legame con Polly, l’influenza positiva che sembra esercitare su di lei agli occhi del padre, la rendono capace di riportare equilibrio nei delicati rapporti familiari compromessi dalla recente perdita: è così che anche Laurence, come altri, comincia ad accorgersi di lei e a guardarla in modo diverso.
Ma questo non le basta: Frances ha conosciuto una vita di cui vuole appropriarsi e per mettere in atto il suo piano ha tutto il tempo e la pazienza necessari, insieme alla capacità di cambiare, di adattarsi, pur di sfruttare le circostanze a suo favore.
Un’altra donna è anche una storia di suspense: la capacità della Lane nello svelare solo a tratti e in modo ambiguo le vere motivazioni della protagonista – che rischia spesso di essere smascherata – suscita nel lettore molti dubbi e un atteggiamento ambivalente nei suoi confronti. Particolarmente apprezzabili i dialoghi e le dettagliate descrizioni della città, di alcuni scorci londinesi, così come dell’ambiente costiero e, in particolare delle abitazioni, nelle quali riesce l’autrice a ricreare intime atmosfere, sottolineate dal passare del tempo e dal susseguirsi delle stagioni. In perenne bilico fra commedia e tragedia, il romanzo manca tuttavia del colpo di scena finale che molti sicuramente si aspetteranno.
Harriet Lane ha lavorato per l’Observer e dal 2005 è una giornalista free lance. Collabora con il Guardian, Vogue, il Telegraph, il Times e altre testate.
Autore: Harriet Lane
Titolo: Un’altra donna
Editore: Giunti
Anno: 2012
Pagine: 256
Prezzo: 14 euro
*articolo di Lidia Gualdoni