Franco Forte vanta una notevole e diversificata produzione letteraria, espressione di due suoi particolari interessi: da una parte, predilige lo studio e la narrazione della Storia (Carthago, Roma in fiamme, La compagnia della morte), dall’altra, ama approfondire nei thriller le tecniche investigative (La stretta del pitone, China Killer).
È dunque per questo motivo che il suo ultimo romanzo, Il segno dell’untore (Mondadori, 2012), segna un momento di sintesi particolarmente felice nella sua carriera: l’unione delle due anime del romanzo storico e del thriller in un “thriller storico” che ricostruisce perfettamente la Milano del 1576 negli usi, nei costumi, nell’abbigliamento, nel cibo… Un risultato che è stato possibile grazie alla consultazione di documenti in archivi non facilmente accessibili, come la Biblioteca Ambrosiana, dove l’autore si è imbattuto in una figura, tipica, specifica di Milano, di cui nessuno aveva mai scritto prima: il notaio criminale, un funzionario del tribunale che si occupava di omicidi e ruberie, con metodi investigativi di incredibile modernità.
Niccolò Taverna, il notaio criminale protagonista de Il segno dell’untore, è dotato di grande lucidità e intuito, qualità necessarie per sopravvivere in un contesto così particolare come Milano, all’epoca colpita dalla peste bubbonica e fulcro di attriti politici e religiosi, soprattutto fra l’inquisizione spagnola e quella romana del Sant’Uffizio.
Il 12 agosto 1576, proprio il giorno in cui la moglie di Taverna muore a causa della peste che l’ha devastata nel corpo e nella mente, il notaio si trova a dover investigare su due casi apparentemente distinti e di diversa importanza: il furto sacrilego in Duomo di un candelabro del Cellini e il brutale omicidio del Commissario Inquisitoriale Bernardino da Savona, ucciso probabilmente da due uomini che lo hanno prima aggredito stringendogli una corda al collo per poi trafiggergli il cuore con una pugnalata. Da più parti viene richiesta una soluzione rapida e definitiva delle indagini e, sulle prime, Niccolò sembra in balia degli eventi e dei diversi poteri che si fronteggiano. La peste rende la città un vero e proprio girone dantesco, dove si aggirano i monatti, loschi figuri incaricati del trasporto e dell’eliminazione delle salme, dove intere famiglie vengono rinchiuse nelle proprie case per evitare il propagarsi del contagio; con il lazzaretto, i fopponi pieni di corpi che stanno bruciando, l’aria ammorbata dal fumo e dai miasmi… e a tutto ciò si aggiunge il costante pericolo di essere accusati di eresia.
Le domande sono molte – che cosa ci faceva il commissario inquisitoriale nell’edificio in Corsia de’ Servi, a notte fonda, senza scorta e probabilmente disarmato? Con chi si doveva incontrare e perché correre un simile pericolo? – mentre le risposte sembrano tardare. Tuttavia, con i due infaticabili aiutanti Tadino e Rinaldo – così diversi da diventare complementari – e grazie all’apporto dell’intelligente quanto affascinante Isabella Landolfi – di cui è impossibile non innamorarsi –, Niccolò Taverna riuscirà a risolvere entrambi i casi nel tempo record di ventiquattro ore.
Ne Il segno dell’untore nulla è stato lasciato al caso: i luoghi sono reali – persino il caseggiato a tre piani dove è avvenuto l’omicidio esiste tuttora; i tempi, le dinamiche, l’altezza delle finestre e delle scale, gli spostamenti… tutto è stato calcolato e verificato dall’autore con precisione. Anche alcuni personaggi minori del romanzo corrispondono a persone realmente esistite, primo fra tutti, l’arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo. La vicenda che viene ricordata fa riferimento ad un fatto realmente avvenuto nel 1569 quando l’arcivescovo, ritiratosi in preghiera in una cappella dell’Arcivescovado, venne miracolosamente mancato dal colpo tirato da Gerolamo Donato, tiratore scelto dell’esercito sabaudo ed ex frate degli Umiliati, un ordine che lo stesso Borromeo aveva messo al bando.
Ricco dunque di riferimenti storici e letterari, che rimandano – come qualche affezionato lettore ha scoperto – anche a personaggi di romanzi pubblicati precedentemente dallo stesso Franco Forte, Il segno dell’untore è solo la prima delle avventure di Niccolò Taverna. Lo ritroveremo infatti alle prese con altri omicidi e ruberie, e ancora in compagnia di Isabella, il cui legame con il notaio verrà ufficializzato: sarebbe un vero peccato mancare l’appuntamento con una coppia di investigatori così originale…
Franco Forte nasce a Milano nel 1962. Lavora come giornalista, traduttore, sceneggiatore, e editor delle collane “Gialli”, “Urania” e “Segretissimo” Mondadori. Ha pubblicato i romanzi Roma in fiamme, I bastioni del coraggio, Carthago, La Compagnia della Morte, Operazione Copernico, Il figlio del cielo, L’orda d’oro – da cui ha tratto per Mediaset uno sceneggiato tv su Gengis Khan -, tutti editi da Mondadori, e La stretta del Pitone e China killer rispettivamente per i tipi di Mursia e Tropea. Per Mediaset ha scritto la sceneggiatura di un film tv su Giulio Cesare e ha collaborato alle serie “RIS – Delitti imperfetti” e “Distretto di polizia”. Direttore della rivista Writers Magazine Italia (www.writersmagazine.it), ha pubblicato con Delos Books Il prontuario dello scrittore, un manuale di scrittura creativa per esordienti.
Autore: Franco Forte
Titolo: Il segno dell’untore
Editore: Mondadori (collana Omnibus)
Anno di pubblicazione: 2012
Pagine: 342
Prezzo: 15 euro
Articolo di Lidia Gualdoni