Scrivere per Irene Brin “fu una necessità dell’anima” che caratterizzò tutta la vita di una donna dal pensiero cosmopolita, raffinato e versatile. Lo dimostra la minuziosa biografia “Mille Mariù. Vita di Irene Brin” di Claudia Fusani (Castelvecchi).
Un volume che descrive il lavoro e la personalità di Maria Vittoria Rossi, vero nome della “giornalista, scrittrice, talent scout e promotrice di cultura” che seppe incarnare il Novecento con la “sua prosa originale, briosa, brillante e divertente”.
“Non c’è più stata una giornalista come Maria Vittoria Rossi, la nostra Dorothy Parker” scrive nella prefazione al volume Concita De Gregorio che definisce questo libro come “un grande lavoro, un gesto d’amore, un atto di doverosa giustizia”. Nella sua vita Irene Brin ha scritto “per dodici quotidiani e trenta settimanali, ha prodotto centocinquanta traduzioni, ha redatto con decine di pseudonimi diari di guerra e posta del cuore cambiando col nome, ogni volta, abito, aspetto, stile e anima”. La pioniera del giornalismo di cultura e di stile “tacciata di snobismo” era nata il 14 luglio 1911 a Roma. Il padre Vincenzo era “un alto ufficiale dell’esercito del re distaccato nella capitale” e la madre Maria Pia Luzzatto “coltissima e affascinante”. Nel ’26 Irene aveva lasciato la scuola avendo come tutor la madre. In breve tempo Mariù che leggeva un libro al giorno, aveva imparato cinque lingue con l’idea di diventare giornalista proprio quando il Duce “aveva completato l’opera di fascistizzazione di giornali, università e scuole, per legare al regime la produzione intellettuale” ordinando “ai direttori delle più importanti testate italiane di lasciare la cronaca nera ai commissari verbalizzanti le questure”. Era nato così nella terza pagina lo spazio per articoli di cronaca, colore, fantasia e costume, nei quali articoli una giornalista donna avrebbe potuto esprimersi imparando il mestiere. “Cominciai prestissimo a Genova… ” così ricordava la Brin in L’Italia che esplode. Nel settembre del ’32 la ventitreenne Irene aveva esordito sul Lavoro di Genova diretto da Giovanni Ansaldo con un pezzo inserito nella rubrica Parentesi firmato Marlene “il primo dei molti pseudonimi di Mariù”.
Da quel momento in poi la carriera di Irene/Oriane/Contessa Clara sarebbe stata in ascesa, una carriera fulgida caratterizzata da uno stile nuovo e rivoluzionario nel quale la fustigatrice di costumi, ambasciatrice della moda avrebbe inventato parole usandole come fotografie. Una scrittura perfezionata dal 1937 quando Irene aveva iniziato a collaborare a Omnibus “il primo rotocalco italiano determinante nella storia del giornalismo italiano” creato dal demiurgo Leo Longanesi “scopritore di talenti giornalistici”. Il direttore (fu lui che coniò per Mariù lo pseudonimo Irene Brin) voleva pezzi non conformisti, istantanee della donna “indagata e vivisezionata” e della “borghesia qualunquista, individualista, superficiale e inconsistente”. Quella “Italia senza qualità” che aveva permesso l’ascesa al potere di Benito Mussolini, e Irene viaggiando per la Penisola scattava le sue personali foto con “un istinto quasi animalesco”. Un modo per “fare la fronda al regime” puntando il proprio radar, che non perdonava mai, per esempio sulle mammine nella romana Casina Valadier al Pincio che “si portano i figli per premiare con una cassata l’ammissione senza esami” (classica brinata). Impossibile elencare i romanzi editi e inediti di Irene Brin, “le corrispondenze di guerra”, gli articoli pubblicati. Citiamo la direzione dell’ufficio italiano di Harper’s Bazaar dal ’50 al ’69, i tanti consigli di buon gusto e bon ton dispensati dalla Contessa Clara sulla Settimana Incom Illustrata, il lavoro alla Galleria d’Arte romana l’Obelisco al numero 146 di via Sistina aperta insieme al marito Gasparo Del Corso. “Una vita fatta di tante vite” come scrisse di Mariù il suo amico Indro Montanelli culminata nel 1955 con la nomina a Cavalier Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana “per aver, di fatto, inventato il made in Italy”.
L’autrice ha ricostruito la vita della giornalista scomparsa nel 1969 con pezzi di un mosaico finora disperso fatto di “carteggi e rapporti epistolari, articoli, confessioni postume” e ricordi di famiglia. “Ho cercato l’anima della Brin“.
Per quale motivo ha scelto la riflessione di Antonio Gramsci sugli “indifferenti” (1) come frase d’apertura della Sua biografia su Irene Brin?
“Ho scelto questa frase perché sicuramente il personaggio di Irene Brin è stato vittima in qualche modo di una forma di oblio che io chiamo indifferenza. La giornalista – nata Maria Vittoria Rossi nel 1911 – muore giovane a 58 anni nel 1969 in un anno nel quale cambia tutto, cambia la prospettiva della vita e la scaletta delle cose che contano. Quindi morendo in un momento così specifico ed essendo invece stata lei colei che ha rotto in assoluto tutti gli schemi sia nello scrivere, sia nel giornalismo e sia nel modo di vivere in qualche modo, ed essendo stata lei una giornalista dalla quale molti hanno cercato di prendere e di copiare senza mai dire grazie… date tutte queste cose che ho elencato, mi sembra che l’oblio cui è stata condannata Irene Brin sia colpa di una forma di indifferenza che contraddistingue il nostro consesso di uomini e donne sia quarant’anni fa sia oggi, sia ieri e sia magari purtroppo domani. Il libro è un tentativo di risarcire un po’ di quel debito che tutti noi, soprattutto i giornalisti, abbiamo con questa signora.”
“Siamo tutti nati da una costola di Mariù” sottolinea nella prefazione Concita De Gregorio. Eppure la giornalista/scrittrice che ha influenzato un secolo con le sue cronache di costume e non solo, dopo la sua morte è stata dimenticata e viene spontaneo domandarsene il motivo.
“Irene Brin è stata un grandissimo personaggio, molto conosciuta e invidiata. Un personaggio difficilmente classificabile e scomodo soprattutto perché donna. Nel libro io riporto un colloquio che avevo fatto con Lietta Tornabuoni, una delle ultime giornaliste che hanno lavorato con Irene Brin. La Tornabuoni mi disse che i cenacoli letterari e intellettuali degli anni Cinquanta/Sessanta erano quasi esclusivamente maschili e la Brin ne era tagliata fuori.”
Che cosa nascondeva la passione di Irene Brin di firmarsi con un nom de plume?
“Lei ha utilizzato circa 15/20 pseudonimi e questo non è stato solo un vezzo letterario. La verità è che la giornalista ha cercato di scoprirsi scrivendo, cioè si può dire che la scrittura è stata per la Brin una forma di psicoterapia. Lei cercava di dare la cifra di sé scrivendo, perché Irene non è mai riuscita a trovare veramente chi era e questo la angosciava molto. Questa continua e perenne ricerca, se da una parte per noi che l’abbiamo letta è motivo di grande fascino, per Irene è stato motivo di inquietudine. La sua scrittura quindi è una tensione continua alla ricerca e alla scoperta di sé.”
Chi era la Contessa Clara e che cosa rappresentò per la società italiana degli anni Cinquanta?
“La Contessa Clara è la nobildonna austriaca assolutamente inventata da Irene Brin che ha insegnato agli italiani a diventare moderni, li ha portati per mano in una società che cambiava a una velocità pazzesca. Era l’Italia del boom economico che usciva dalla II Guerra Mondiale con una voglia di riscatto stupefacente. La Brin raccontava, insegnava come ci si doveva comportare. Ha fatto crescere l’Italia contemporanea nei modi del vivere quotidiano ma anche nei consigli. I consigli della Contessa Clara vanno da come ci si deve vestire a perché ci si deve sposare a quale tipo di lavoro bisogna scegliere…”
To rewrite, in francese rewriter sforbiciare, tagliare, cancellare, riscrivere un articolo, un pezzo come insegnava Leo Longanesi. È una regola valida ancora oggi?
“Sì anche se oggi la macchina dell’informazione è talmente frenetica che al di là del fatto se possa esistere o no un Longanesi e sicuramente ce ne sono tanti, non c’è più tempo per fare quel lavoro. Oggi è tutto talmente frenetico, veloce, l’informazione dura tre o quattro ore, forse quella serale dura un po’ di più, che non c’è lo spazio fisico per chi vorrebbe fare quello che fece Longanesi all’epoca.”
Come descriverebbe Irene Brin la società italiana del XXI Secolo?
“Quante volte mi sono domandata in questi anni in un momento di sconcerto o tristezza: ma se ci fosse Irene come racconterebbe le odierne cronache italiche? Le avrebbe saputo raccontare con quella grazia che oggi spesso è mancata… non lo so come le avrebbe descritte ma mi sarebbe tanto piaciuto leggerle e l’ho sognate tante volte.”
Quali fonti e documenti storici ha consultato per ricostruire un’esistenza così produttiva e feconda come quella di Irene Brin?
“Il libro nasce tanti anni fa come una tesi di laurea. La consultazione dei documenti è stata intensa e ho scoperto molti materiali inediti. Ho passato settimane alla Biblioteca Nazionale di Roma dove ho consultato moltissimi giornali (mi sono innamorata di Omnibus e della Settimana Incom Illustrata). Ho trascorso molto tempo alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma dove si trova custodito l’archivio l’Obelisco (la Galleria di Irene Brin e del marito). Ho trovato 7 metri lineari di casse per terra dove ho scoperto il famoso romanzo inedito di Irene Brin L’Italia che esplode datato 1952. Spero che la GNAM pubblichi quanto prima questo testo che è delizioso. L’altra fonte, pregiatissima, è stato un fondo culturale privato, il Fondo Indrini. Indrini è stato uno degli ultimi soci di Gasparo Del Corso nella Galleria L’Obelisco. Nell’abitazione Indrini vi sono i circa 30 libroni (vecchi album di fotografie) che contengono l’elenco, articolo per articolo, anno per anno, di tutti gli articoli di Irene Brin che lei e Gasparo avevano così concepito: nella parte destra c’è la fotocopia dell’articolo con riportata la testata e l’anno, nella parte sinistra ci sono gli oggetti di cui parla l’articolo (un fiore, un biglietto da visita o di teatro, cioè qualsiasi cosa che riportava al fatto raccontato nell’articolo). Tutto ciò perché Irene Brin era innamorata di Proust, infatti, tutto quello che ricordava i flussi della memoria sta alla base della sua scrittura per immagini. Questa è la vera raccolta bibliografica dell’opera di Irene Brin. Queste sono state le mie fonti, sono fonti storiche. Il mio sogno sarebbe, e sarebbe il massimo del risarcimento per la giornalista, che qualcuno prendesse tutta questa roba la riscattasse dai vari scatoloni e dai vari angoli reconditi dove è finita e la mettesse tutta insieme per raccontare la vita di Irene Brin che è la vita dell’Italia del dopoguerra: del made in Italy, della moda, del cinema. Nella vita di quella donna c’è veramente tutto e il giornalismo è stato il veicolo per raccontarla.”
(1) “Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, e vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti”. Antonio Gramsci (La città futura 11 febbraio 1917)
Claudia Fusani, giornalista, fiorentina, vive e lavora a Roma. Per vent’anni a La Repubblica, dal 2008 lavora a L’Unità, dove si occupa di politica e cronaca giudiziaria.
Autore: Claudia Fusani
Titolo: Mille Mariù. Vita di Irene Brin
Editore: Castelvecchi
Anno di pubblicazione: 2012
Prezzo: 22 euro
Pagine: 278