“La gatta turchina e il gatto vagabondo” (Edizioni De Ferrari, 2009) di Paolo Lingua, è una metafora minima della città di Genova, dei suoi abitanti colti nei tic e nelle contraddizioni della vita sociale e dei difetti individuali. Una favola medioevale, recuperata da un lungo racconto scritto nel 1980, che vede protagonista una popolazione autoctona di gatti anarchici. Si scopre un autore diverso tra le righe di una favola da lui scritta circa trent’anni fa, tra l’autunno del 1980 e l’inverno del 1981.
“La gatta turchina e il gatto vagabondo” nasce da un’idea comune con il grande disegnatore francese Raymond Peynet, dove a Bordighera l’autore aveva stretto una forte amicizia. Il poliedrico Lingua, storico, saggista e gior-nalista qui si scopre anche un po’ poeta.
Lo scenario della favola sono i tetti grigi di Genova, gli stessi che dal medioevo ad oggi non sono cambiati e che fanno il centro storico della nostra città unico perché ancora intero e intonso. Un centro storico che Lingua ama e che diventa il palcoscenico della vicenda dei gatti che lo abitano e vivono con intensità. Senza dubbio la”gattità” e Genova sono i temi del libro, che è molto più denso di significati di quello che vuole apparire e che si basa su un gioco intellettuale profondo.
La Genova dell’immaginario di Lingua ha molto di Parigi, così come i due gatti protagonisti ricordano molto quelli del film a cartoni animati “Gli Aristogatti”. Come Romeo di Disney il Gatto Vagabondo, adottato dal Prof. Silvio Ferrari e ribattezzato da questi come Principe Senza Regno, è una sorta di capopopolo dei fieri randagi del rione della Marina, tutti lo temono e lui sfoggia potere e sfrontatezza che lo rendono affascinante anche agli occhi di tutte le gattine, che con lui si atteggiano davvero a”gatte morte”.
Ce n’è solo una che ha una comportamento diverso perché diversa è nella bellezza e nel carattere, ed è la Gatta Turchina, dal mantello azzurro color del mare e dagli occhi carichi di mille riflessi. Lei, come la Duchessa disneyana, è di un altro rango, rappresenta l’incarnazione di una sorta di divinità, un modello ideale per il Gatto Vagabondo che se ne invaghisce a prima vista. Il rapporto tra i due è fatto di stima e di dolcezza, tutto è impalpabile e rimane tale fino alla fine. Una fine non risolta riguardo all’innamoramento.
La storia scritta sul filo del quotidiano racconta soprattutto la vita di una città vista dalla prospettiva dei tetti dove tutto in basso è fervente e brulicante.Le poesie di Montale lette dal professor Ferrari e le note del pianoforte suonate da sua moglie sono la colonna sonora del libro che lascia una sospensione velata di malinconia.
Paolo Lingua è nato a Genova il 1943, laureato in giurisprudenza e master in scienze sociali è stato per 37 anni giornalista de Il Secolo XIX e La Stampa. Saggista, romanziere, storico, cultore del costume e dell’antropologia gastronomica, ha al suo attivo oltre 20 libri. Dal gennaio 2005 è direttore dell’emittente TELE NORD e collabora come notista e critico teatrale con Repubblica e L’Indipendente.