“Il quadro del mondo”

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Il quadro del mondo è il primo libro di Gerry Gherardi. Si tratta di una raccolta di poesie accorate e palpitanti, all’insegna di sentimenti onesti e genuini. Il tema conduttore del volume è l’amore, affiancato a un’autobiografismo soave e a tratti malinconico. Da un lato, assistiamo alla vocazione al canzoniere, inteso come cronistoria dell’Io delle più svariate sfaccettature del sentimento amoroso, dall’altro, invece, sembra rifuggirlo ed aspirare al nobile quanto ardito tentativo di approdare al romanzo in versi.

Il verso, infatti, tende spesso al prosastico ma, altrettanto fermante, lo elude tenendo sempre alta la tensione poetica attraverso una serie si strumenti linguistico-poetici propri della materia lirica.  Gherardi ricorre spesso all’utilizzo dell’anafora (come perdersi per caso/ … come un bimbo innamorato), di incisi che destano subito l’attenzione del lettore (M’innamorai della malinconia), di cesure per cadenzare il verso e degli enjambement per rendere più fluida e avvincente la narrazione. Come già detto, si può leggere tra le righe un’indubbia vocazione al romanzo in versi. L’utilizzo di assonanze e consonanze, in buona sostanza, conferiscono una maggiore musicalità interna ed estrinseca al verso, mantenendo sempre intatta la tensione poetica dei testi. Le liriche di Gherardi si prestano ad essere lette sia  singolarmente che come capitoli di un continuum narrativo. Ogni poesia appare, infatti, compita, sia che si tratti di un componimento lungo che di un frammento, e ogni immagine o storia narrata viene scandagliata nelle più intime sfumature.  Ogni componimento, in definitiva, è come se costituisse un tassello di un unico puzzle la cui cornice è costituita dalla campagna toscana o laziale, dall’Io narrante, dalle figure familiari e da quella femminile. L’autore stesso è un profondo conoscitore della sfera femminile, un’anima sensibile che non fatica ad entrare in comunione con l’altro sesso.

Se, da un lato, il paesaggio è caricato delle sensazioni filtrate dal poeta, dall’altro rifugge il petrarchismo poiché l’Io non ha bisogno di mediazioni ed è quasi sempre espresso in prima persona e si oppone a maschere e cristallizzazioni.

Il linguaggio di Gerry è quello del quotidiano, depauperato ma non povero, soprattutto essenziale. È evidente, a mio avviso, il debito verso una certa tradizione novecentista, sia italiana (Bertolucci, Montale, Ungaretti)  che francese (penso soprattutto ad alcune bozze scenografiche alla Prévert), nell’uso della strofa (per lo più regolare), della rima interna e della cesura che appare sulla falsariga del Pavese di Lavorare stanca. Mi riferisco, in particolare,  ai paesaggi di campagna, ai papaveri, alle colture e alle atmosfere trasmesse che può definire così bene solo chi si è sporcato le mani con il lavoro dei campi e con il sudore.

Lo sfumato del lessico, del ricordo e delle narrazioni in genere e il fluire del tempo, costituiscono nella poetica di Gherardi due vere e proprie “ossessioni” semantico-tematiche. Espressioni come “voci lontane”, “un giorno lontano” e “un canto lontano” sono sparpagliate un po’ ovunque, come se l’autore volesse leopardianamente suggerirgi la poetica del vago, sulla falsariga dell’aedo marchigiano. Il tempo, invece, è visto come incombente e spietato, una ruspa che tutto spiana e una bussola a cui tutto si riconduce. Basti segnalare espressioni come “rughe del tempo”, “nel silenzio dei tempi” o “sul viso del tempo”. L’amore, filo conduttore dell’opera prima di Gerry Gherardi, è approfondito e investigato da ogni punto di vista: come souvenir di gioventù,  come idealizzato o immaginato, come empirismo gioioso o provante, come amore sponsale che si rinnova o sentimento fraterno e rassicurante per una persona cara o un  familiare. L’autore toscano dedica il libro ai propri nonni.

In conclusione, il libro del nostro scrittore riesce a farci cogliere, sin dalle prime righe, tutto il calore dei sentimenti più  veraci e genuini e  l’agrodolce della vita quotidiana, strettamente connessi ad un Io poetico incline al realismo e ad un lirismo assolutamente esente da qualunque forma di retorica o autocompiacimento.  Il fatto che Gerry sia anche un attore di teatro ci aiuta a meglio chiarire la struttura di alcuni suoi componimenti i cui versi si susseguono come fotogrammi di una pellicola o cambi di scena di palco: “lei, / nuda, / coperta di seta / sulla pelle, / zucchero a velo / trasparente, leggero …”

Da un punto di vista linguistico e tematico, il libro si segnala anche sorprendente unità strutturale che appare soppesata e raffinata, frutto di un’attenta ricerca e meditazione semantica ineccepibile: “M’innamoro di te / come il vino nel bicchiere,  / rosso di terra / nell’ora del sole / che muore sui monti / tutte le sere.”

Il quadro del mondo è il primo e prezioso lavoro di Gerry Gherardi. Francamente, ci auriamo di vederne altri quanto prima. Da leggere.

Gerry Gherardi nasce a Pontedera un sabato d’agosto del 1978 alle 9,30 di mattina, faceva caldo e tutti erano in ferie. Dopo vent’anni passati a respirare l’aria dei campi di grano toscani si trasferisce a Roma dove frequenta la scuola di teatro “Ribalte” sotto la guida del Maestro Enzo Garinei. Debutta in teatro con Francesca Draghetti in “Terapia di Gruppo” di Christopher Durang, primo spettacolo di una lunga serie che scandisce una prolifica collaborazione. Doppiatore e sceneggiatore mette in scena due monologhi e una parodia per quattro attori. Il quadro del mondo è il suo primo libro.

articolo di Angelo Gasparini

Autore: Gerry Gherardi

Titolo: Il quadro del mondo

Editore: Edizione Ensemble

Anno: 2012

Pagine: 70

Prezzo: 10,00 euro