Dell’argentino César Aira, “romanziere inarrestabile” della letteratura latinoamericana, noto in patria quanto sconosciuto in Italia, negli anni si è detto di tutto, dal momento che la critica si è sempre accanita a riportare il suo sfuggente mare magnum compositivo sotto un’etichetta, una caratteristica, un distintivo, un filone.
È stato quindi di volta in volta considerato surrealista, dadaista, post-moderno, sperimentale e umorista senza che lui stesso si riconoscesse in alcuna di queste definizioni. Ciò è dipeso, sostanzialmente, dal fatto che Aira, questa sorta di Simenon latino che di Simenon non ha se non la prolificità (70 titoli sfornati in 62 anni di vita), ha scritto per esempio storie su: il suo migliore amico; un cantante castrato; una principessa; un impiegato statale che vuole fare l’imbalsamatore; un traduttore disoccupato che è anche una specie di scienziato pazzo intenzionato a creare un esercito di cloni dello scrittore Carlos Fuentes per conquistare il mondo; una sarta e il vento; sua moglie che fa un viaggio al centro della terra; incendi vari. E, come ha puntualizzato la scrittrice Rivka Galchen sulla rivista americana Harper’s, ha anche scritto un romanzo in cui Dio si incarna in un ragno tifoso di calcio; una storia d’amore tra un cane e una mosca; dei testi teatrali e, tra questi, uno in cui lui e sua madre vengono aggrediti da un pollo surgelato che stavano per mangiare e che comprensibilmente credevano essere morto. Ecco. Un sunto del genere basta da solo a farsi un’idea dell’opera di Aira, il quale non è pazzo come si può credere – o almeno non dovrebbe.
La questione, per dirla con l’editore italiano Marco Cassini, che ha voluto “I fantasmi” tra i titoli del nuovo progetto editoriale Sur (minimum fax), è «la prodigiosa abilità dell’autore nell’organizzare mondi con apparente disinvoltura». Nel romanzo tutto avviene un’afosa mattina dell’ultimo giorno dell’anno 1987, a Buenos Aires, in un edificio in costruzione visitato dai futuri inquilini mentre i muratori proseguono con i lavori. L’edificio in costruzione può essere considerato una metafora non tanto della letteratura in generale, come argomenta l’autore stesso nel corso del romanzo, quanto piuttosto del suo personale modo di costruire storie, partendo da uno spunto, da un’idea, da una mera suggestione e inseguendola fin dove il caso e l’immaginazione la conducono. Le trame di Aira sono infatti sempre delle opere in fieri, e lui non si dà pena di evitare al lettore una virata, una digressione, un brusco deragliamento narrativo. Anzi, con grande gusto dell’improvvisazione, accoglie ogni sorta di fuori programma suggeritogli dalla sua fantasia.
Da qui la varietà dei giudizi su Aira, e da qui anche l’originalità e il fascino di un mondo letterario da cui non è escluso niente, nemmeno una pacifica convivenza di iperrealismo e fantastico. La situazione che si prospetta all’inizio de “I fantasmi” è, per l’appunto, perfettamente reale. Ma lo è solo finché a uno spaccato di vita quotidiana degli operai edili cileni, alle prese con calcestruzzo, siesta, pranzi e panni da lavare, e intralciati dagli esigenti proprietari, si sovrappone l’elemento onirico e surreale rappresentato dai fantasmi che li circondano, visti solo da loro e dai bambini della famiglia del guardiano, in procinto di festeggiare il Capodanno sul terrazzo. Quel momento – il momento, cioè, in cui i due piani si incontrano e nel “normale” fa irruzione lo “strano” – è considerato il tratto distintivo della letteratura dell’autore, detto appunto “momento-Aira”, e i lettori abituali dell’argentino sanno che arriva sempre, prima o poi.
In Aira c’è qualcosa della magia di Márquez, del colore di Amado e della critica sociale di Sepúlveda tutto insieme, ma ci sono soprattutto altre cose, solo sue. E l’impercettibilità del ribaltamento, per cui la vita dei muratori cileni comincia a un certo punto a essere percepita come surreale, mentre la presenza dei fantasmi, viceversa, diventa verosimile, è una di queste. Il fatto che i cileni, senza stupirsene, vedano decine di uomini nudi, infarinati di calce, sghignazzare alle spalle degli ignari argentini, segnare le ore coi corpi a mo’ di lancette e smaterializzarsi attraverso le architetture, perde di straordinarietà anche per il lettore. Nemmeno il fatto che il grado di istruzione della moglie del custode, Elisa Viñas, e della figlia adolescente, Patri, non corrisponda al livello elevato delle loro filosofeggianti conversazioni viene avvertito come un’incongruenza. L’improbabile scende a patti col reale, l’assurdo va a braccetto con il verosimile. Alla fine l’unico bivio che si intravede è lo stesso con cui si misura la ragazzina quindicenne dopo essere stata invitata al veglione di Capodanno dei fantasmi: andare o no all’altra festa? Preferire loro oppure gli “uomini veri” mitizzati da sua madre? In ultima analisi: scegliere di vivere o scegliere di morire?
Qualcuno ha trovato del gotico, in questo romanzo; dell’onirico, persino dello humour, che a mio avviso è l’unica cosa che manca («Non vedo cosa ci fosse da ridere», si stupì in un’intervista César Aira). L’unica cosa che, al contrario, di sicuro non manca è la suspance: dove condurranno le elucubrazioni di una mente giovane e “frivola” come quella della piccola Patri?…
César Aira (1949) è autore di circa settanta romanzi e traduttore, fra gli altri, di Kafka, Jane Austen e Stephen King. «Babelia», l’inserto letterario del País, lo ha incluso nella lista dei dieci più importanti autori argentini contemporanei.
Autore: César Aira
Titolo: I fantasmi
Editore: Sur
Anno di pubblicazione: 2011
Pagine: 140
Prezzo: 15 euro