È interessante l’operazione di Adelphi di scovare testi dimenticati dei grandi autori della letteratura italiana e “Viola di morte” (Adelphi, 2011) mette in evidenza la grandezza di Tommaso Landolfi come poeta, barocco e vertiginoso, senza regole.
Ambizioso e oscuro, Landolfi scrive in un racconto che se si fosse lasciato andare alla poesia, sarebbe venuto fuori un qualcosa di troppo bello “e allora tutto sarebbe finito e riprecipitato in una voragine senza fondo”. Fatto è che Landolfi si abbandona ad una forma diaristica di poesia, pubblicando nel 1972 questa raccolta di cortocircuiti, rancorosi e perduti, versi che vagano perduti, come fantasmi senza nome, tra gli angoli più tenebrosi della terra. Poesie nostalgiche, pregne di odio e furore, ma anche tenere e strazianti.
Landolfi viaggia sulle derive della letteratura, in quel territorio ostinato a ridosso della poesia, si confessa e si libera dall’oppressione della prosa, in ogni caso è uno scrittore ferito che parla confidenzialmente al lettore, infittisce di silenzi e dolori la carta bianca, e parla un linguaggio dell’anima, dirompente e sporcato di escatologia. Non è un libro riposante, la parola talvolta diviene suono e non appaga. Si avverte sempre un senso di disagio dinanzi al flusso di parole orchestrato da Landolfi, l’amore è distante e chiuso in un passato addormentato, il presente è assenza, vuoto. Semplicemente la sua vita, in quel frangente, è attesa di morte, una sorta di liberazione da una vita tormentata, dominata da un dio cattivo, che “sfida e ricatta”. Alla fine della lettura, si avverte una profonda pugnalata al costato ma si lasciano parole dure, sofferte, che difficilmente si dimenticheranno.
Magari il lettore finirà per apprezzare maggiormente – e a ragione – il Landolfi di “Rien va” ma, in fin dei conti, chi lo apprezza non può rinunciare a quest’oggetto prezioso capace di catapultarci in un limbo melmoso e putrido e a farci ripensare alla bellezza della vita.
Tommaso Landolfi è nato a Pico [Frosinone] nel 1908. Ha frequentato in gioventù la cerchia degli ermetisti, ha collaborato tra l’altro a «Campo di marte». Nella seconda parte della sua vita lavorò come traduttore dal russo per la casa editrice Einaudi. E’ morto a Roma nel 1979. Ha esordito come narratore nel 1937 con il “Dialogo dei massimi sistemi”. Ha poi pubblicato alcuni studi sulla letteratura russa, e numerosi libri di narrativa tra cui: Il mar delle blatte e altre storie (1939), La pietra lunare (1939), Cancroregina (1950), La bière du pé cheur (1953), Se non la realtà(1960), Racconti impossibili (1966), Rien va (1963), Le labrene (1974), A caso (1975).
Autore: Tommaso Landolfi
Titolo: Viola di morte
Editore: Adelphi
Anno di pubblicazione: 2011
Prezzo: 22 euro
Pagine: 317