Dal 5 al 7 maggio si è tenuto presso la Biblioteca Nazionale di Roma un interessante convegno sull’importanza dell’intervista come fonte di documentazione. Temi già trattati in altri incontri del 1986 con relatori di livello come Gianni Letta, Walter Mauro, Gianni Minà e altri. Tre giornate dedicate a storia orale, antropologia, giornalismo e sociologia per discutere sul contributo dell’intervista come fonte orale alla comunicazione e agli studi storici e antropologici. DOCUMENTI/Il progetto memoria
Il tema è stato riproposto per evidenziare un salto di qualità, quello per il quale i documenti sonori e audiovisivi non sono più considerati solo come delle fonti, ma come beni culturali da tutelare e da valorizzare. Il luogo del convegno non poteva per questo non essere quello della Biblioteca Nazionale, vero e proprio archivio della nostra storia, non solo libraria, che via via negli anni sta crescendo sia per i servizi offerti agli utenti, sia per l’apertura al processo di informatizzazione, fondamentale per la nostra epoca.
Si è cercato di ordinare, con testimonianze valide e diversificate, i risultati cui è arrivata la ricerca scientifica e di proporre metodologie condivise per il trattamento di questi documenti, attirando l’attenzione sulla necessità di una politica che li tuteli.
Nel nostro paese è possibile trovare fonti orali negli archivi e nelle biblioteche, ma purtroppo molta documentazione è dispersa in istituti privati, creando degli ostacoli che toccano le caratteristiche fondamentali, se non il significato stesso, della “fonte storica”: l’accessibilità e la verificabilità. Dischi, nastri, videocassette: tutti materiali che presentano molti problemi di conservazione e gestione, dalla necessità di conservarli secondo precisi standard, dal riversamento dei contenuti in formato digitale, alla catalogazione.
Tra i più interessanti è stato l’incontro di mercoledì 6 mattina, dove coordinati da Dino Pesole, giornalista del “Sole24ore”, hanno parlato Marino Sinibaldi, vice direttore di Radio Tre e ideatore/conduttore della trasmissione radiofonica Fahrenheit, Giampiero Gramaglia, direttore dell’ANSA e Dario Laruffa, giornalista e presentatore del TG2 della fascia serale. Doveva essere presente anche Arrigo Levi, giornalista e consulente del Presidente della Repubblica, ma è soltanto intervenuto telefonicamente dando in via alla discussione. L’importanza dell’intervista è stata osservata sotto diversi punti di vista, a seconda del media all’interno della quale può essere ricondotta. Radio, televisione, carta stampata, agenzia di stampa: per tutti, anche se in maniera differente, questa fonte di documentazione risulta indispensabile.
Eppure perché non riesce a trovare spazio? Perché si accetta il sistema delle risposte lampo, perdendo la capacità di ascoltare. Sinibaldi parla di un sistema che dovrebbe esserte come un “menage a trois”, in cui emittente, destinatario e referente riescono ad avere la stessa importanza, gli stessi diritti. Nel ciarpame televisivo, là dove tutti parlano ma nessuno dice niente, non si riesce a trovare spazio e. peggio ancora, tempo per interviste, che siano di politici o di personaggi culturali. L’errore poi è quello di scambiare l’intervista reale con quella che non lo è, che magari ha un altissimo valore sociale ma è tutt’altra cosa: non sono interviste quelle di Fazio, nè quelle di Santoro, nè quelle di Report. Rarissimo esempio di intervista fatta realmente bene, ovvero seguendo le risposte dell’interlocutore e incalzando, cercando di mettere in difficoltà e di far rispondere là dove non si vorrebbe, è la trasmissione di Lucia Annunziata, in onda la domenica dopo i telegiornali di RaiTre.
Si è parlato poi del risultato italiano nella classificazione di Freedom House riguardante la libertà di stampa: le motivazioni vanno cercate sì nell’incidenza del nostro Presidente del Consiglio sull’informazione ma anche su altri fattori non per forza negativi. In Italia c’è una legge sulla stampa che in altri paesi non c’è e questa viene vista come restrizione alla libertà d’informazione. Ma di fatto l’Italia, da questo punto di vista, è molto più libera di paesi come il Kazakistan, posizionati come noi, che sì non hanno leggi a riguardo ma, di fatto, non permettono una stampa alternativa. Insomma, almeno oggi e nonostante tutti problemi che ci sono (e sono moltissimi), non dobbiamo guardare questa classifica con ansia e paura ma semplicemente leggerla con intelligenza, cercando di capire dove dobbiamo migliorare e dove dobbiamo stare attenti per il futuro, soprattutto se rimane questo buco legislativo sul conflitto d’interesse che permette al capo di governo di controllare in maniera così massiccia buona parte dell’informazione nel nostro paese.