Ho provato a cercarle con gli occhi queste “Permanenze lontane“ (Edizioni della Sera, 2011) di Maurizio Landini, ho provato a toccarle cercando di sfiorare quegli oggetti del quotidiano solo apparentemente così simili nelle diverse vite delle persone, ho provato persino a immaginarle, ma non sono riuscito neanche in questa operazione. Parlo di poesia molto spesso, persino troppe volte, fino quasi a dimenticare che la poesia è linguaggio allo stato puro e come ogni cosa pura, se è vera, non è clonabile, riproducibile.
Quella di Landini è una poesia che produce emozioni cibandosi di se stessa, una forza nascosta che il più delle volte troviamo nella pittura o in certa fotografia.
Compito della nuova generazione poetica – sarò folle ma credo fermamente che esista e che sia vitalissima – è di comprendere il nostro tempo, di provare a definire la nostra società, perché non siamo soltanto (come Italia, come Europa, come Occidente, come Uomo contemporaneo) una “espressione geografica” ma anche – e soprattutto – una “espressione letteraria”.
Per fare questo – ancor più se si tratta di una prima silloge, di una prima raccolta poetica, di una prima pubblicazione – non ci si può esimere da una vitalistica ricerca di definizioni (anche se soggettive e non condivise) e quindi di significati.
E il significato di Permanenze lontane, questo “vedere e ascoltare” profondamente inserito nell’oggi, non è nell’equazione iniziale dell’opera: “Le permanenze lontane sono giorni trascorsi sulla carta. Soggiorni comunque piacevoli, andirivieni emozionanti come il respiro profumato”; bensì nell’opera stessa che è intrisa di quotidiano e di “vita” e di giorni trascorsi “nel mondo”. Persino nella veemenza giovanile.
Immaginare non è che l’altra faccia del vedere: “Sul tuo corpo, / immagino, / il destino delle foglie. / Terra umida, / il sole di dicembre, / e la strada, / che porta al canneto.”
Il dolore (inteso come l’uguale e l’opposto dell’amore) che portiamo dentro, motore indiscusso della poiesis, crea continuamente crasi e sincopi, come se nella contrazione e nell’eliminazione trovassimo la stessa forza generatrice.
Landini è bravo perché sa giocare con le parole e con la musicalità. Il linguaggio, semplice, è un vortice immaginifico che scuote e percuote. Nella sua poesia ci sono “fango” e “sangue”, ci sono “spade” per lottare, “occhi” da ricercare, case vuote da riempire, una felicità forzata.
C’è tutta una materia poetica che è humus, terra, umori. Un qualcosa di profondamente palpabile fino quasi a modificare significanti con significati nuovi o inversi. Se un luogo conosciuto può diventare proiezione verso l’alto (altro?) perché “ogni angolo è buono, / per attimi di sogno”, tutto ciò che è abbiamo sopra, Dio, scende giù a terra con “preghiere” che hanno potere nel “sonno” o attese infinite: “Ancor t’attendo, / come i viandanti, / e i loro notturni falò: / gli occhi al cielo, / il volo della casa di Dio.”
Maurizio Landini: appassionato di fantascienza militare e studioso di narrazione di guerra nell’immaginario fantascientifico, ha scritto per Continuum, Delos, Next, ed è presente nell’antologia del Connettivismo Avanguardie Futuro Oscuro. Il suo blog è: http://scarweld.blogspot.com/
Autore: Maurizio Landini
Titolo: Permanenze lontane
Editore: Edizioni della Sera
Anno di pubblicazione: 2011
Pagine: 82
Prezzo: 10 euro