“La ribelle“ (Rizzoli) è ambientato nel XIII Secolo, quando le donne erano segnate “inesorabilmente” da un comune destino. “Che fossero serve o principesse, ognuna di loro sottostava ai voleri di un uomo, un padre, un fratello, un marito, un amante.”
Nella Parigi del 1254 Caterina da Colleaperto che “fin da bambina aveva manifestato la volontà di esercitare la professione medica” lavora presso l’Hotel – Dieu, il più importante ospedale parigino. Insieme all’ambizioso medico di corte Rolando Lanfranchi, il cui “esercizio dell’arte medica era l’unico scopo della sua vita”, Caterina assiste alle dissezioni anatomiche dei cadaveri, necessarie per comprendere i misteri del corpo umano, ma ai tempi rigorosamente vietate “dall’autorità religiosa e civile”. La “maestra in medicina” donna indipendente, emancipata e volitiva è malvista dalla corporazione medica parigina invidiosa della sua abilità e intelligenza. “La medicina nel Medioevo, come tutte le altre discipline del sapere, era appannaggio degli uomini” sintetizza Valeria Montaldi nelle note finali del volume. Dopo essere stata accusata ingiustamente di una colpa che non ha commesso, Caterina è costretta a fuggire verso Milano attraverso un viaggio irto di pericoli e dolore. “Quanto al futuro, sarebbe stato il destino a decidere”.
Valeria Montaldi pone al centro dei suoi romanzi la storia medievale qui simboleggiata dalla figura di Caterina, creazione letteraria dell’autrice “che avrebbe potuto essere una qualunque fra le medichesse medievali che abbia tentato di raggiungere una dignità professionale pari a quella degli uomini”. Perfetta raffigurazione sociale e di ambientazione di un momento storico pieno di luci e ombre che l’autrice sa rendere al meglio con descrizioni particolareggiate di un abito, di un luogo o di un paesaggio. Ambientato in una Parigi dove sta per nascere in rue Coupe – Gueule la sede ufficiale del primo collegio universitario retto da Robert de Sorbon e in una Milano capitale del lusso e della moda ma anche teatro di miseria e squallore, La ribelle ci parla di una donna vissuta nel Medioevo, ma straordinariamente attuale. “ … no, lei non si sarebbe più assoggettata a nessuno, Aveva un figlio a cui pensare adesso, e una professione da conservare. Non le serviva nient’altro”.
Signora Montaldi, per quale motivo ha posto all’inizio del romanzo la frase di Simone Weil? (1)
“Perché mi sembrava particolarmente adatta. Innanzitutto la Weil è una donna, una delle tante “donne di coraggio” a cui dedico il romanzo. E poi rispecchia uno dei significati della narrazione, nel senso che di “scandali” nel libro ce ne sono molti. “E’ necessario che vi siano scandali” può voler dire che senza lo “scandalo”, cioè senza qualcosa che non ci si aspettava, la vita non subisce cambiamenti, mentre “Guai a chi porta lo scandalo” significa che se qualcuno svela lo scandalo perché pensa che i suoi effetti possano essere rivolti a proprio vantaggio, questo qualcuno è degno di riprovazione.”
Per Caterina da Colleaperto ha tratto ispirazione da una figura storica veramente esistita?
“No, Caterina è un personaggio di totale invenzione, ma come accenno nelle note finali, se conserviamo i nomi di una dozzina di donne medico medievali, questo fa supporre che probabilmente dovessero esisterne moltissime altre, di cui si è persa memoria. Da sempre, il curare e il guarire sono stati una prerogativa femminile, e non è un caso se il medioevo ha partorito la figura della “strega”, cioè di colei che per curare e guarire, appunto, utilizzava i rimedi erboristici.”
Perché “cavare viscere putrefatte dai corpi dei morti” era considerato reato?
“Perché la Chiesa medievale la considerava una profanazione del corpo che doveva invece restare intatto fino al giorno del Giudizio. E come la Chiesa, anche le autorità civili perseguivano le dissezioni e coloro che le eseguivano: questo modo di pensare è durato fino al Trecento quando, finalmente, qualche medico più avvertito degli altri è riuscito a imporre questa pratica come necessaria allo studio della medicina. Uno dei primi, è stato il bolognese Mondino de’ Liuzzi.”
Lungo il suo cammino Caterina incontra Matthew da Willingtham già protagonista dei Suoi precedenti libri. Ce ne vuole parlare?
“Matthew è stato un personaggio guida, quello che ha caratterizzato tutto il mio lavoro di ricerca su una figura emblematica medioevale. In questo romanzo ha un ruolo ben preciso ma non è più il protagonista, perché era mia intenzione dare risalto a una figura femminile. Il monaco medievale era l’uomo colto per eccellenza, colui che sapeva leggere e scrivere, che studiava i testi antichi, che conosceva il latino e il greco, che miniava codici. Questi uomini infaticabili viaggiavano moltissimo, compivano lunghi pellegrinaggi, portavano ambasciate da un monastero all’altro d’Europa, si spingevano perfino in Oriente e incontrando genti diverse imparavano la virtù della tolleranza. Penso di poter affermare che nel panorama medievale il monaco possa essere considerato una figura “moderna”, proprio per il suo aver acquisito una visione del mondo più vasta di quella che avevano altre categorie di persone.”
Come mai ambienta sempre i Suoi libri nel Medioevo?
“Quando ho deciso di scrivere romanzi, dopo molti anni dedicati al giornalismo, ho incontrato quasi per caso il Medioevo e mi ha intrigato da subito: la discreta e sobria imponenza di edifici religiosi e civili, la bellezza delle miniature, e soprattutto la storia che ho cominciato a studiare mi hanno fatto capire che non si trattava di secoli “bui”, come si è detto per troppo tempo, ma di un periodo interessantissimo, fatto sì di guerre feroci e di scontri di potere, ma anche di innovazioni importanti, come i commerci, l’artigianato, l’arte, la filosofia… Un periodo, insomma, di grande e insostituibile risveglio culturale. Il periodo giusto, quindi, su cui lavorare per scrivere storie che avessero largo respiro.”
Bellissime sono le descrizioni dell’Ospitale della Colombetta. Quali fonti ha consultato per la stesura del romanzo?
“L’Ospitale della Colombetta non esiste più: era situato sul Naviglio, in via della Chiusa. Le fonti che mi hanno permesso di farmene un’idea sono state prima di tutto il De magnalibus urbis Mediolani di Bonvesin de la Riva seguito dalle pubblicazioni di alcuni studiosi milanesi di storia medievale in cui si spiega come si svolgesse l’attività di questo particolare tipo di ospizio. Si potrebbe dire che l’Ospitale della Colombetta sia stato uno dei primi esempi di accoglienza laica a Milano: infatti, mentre generalmente ospizi e ospedali erano di pertinenza ecclesiastica, fondati, seguiti e amministrati da religiosi. Alla Colombetta, tolti pochi monaci e un priore, quelle che si occupavano dell’assistenza quotidiana ai poveri erano persone comuni, che spesso trasferivano addirittura il loro domicilio all’ospitale per spendere la propria vita in favore degli altri. La Colombetta era sostentata da benefattori, soprattutto grandi mercanti, che hanno fatto di questa antica istituzione milanese un esempio di quella carità milanese definita, in seguito, “Milano col cuore in mano”.”
In un Paese come l’Italia, che spreca ancora il talento femminile, la figura di Caterina che cosa può insegnare alle donne del 2000?
“Può insegnare che bisogna sempre tener duro, essere determinate, non sottostare a compromessi, non rinunciare alla propria dignità.”
In merito alla manifestazione “Se non ora quando?” del 13 febbraio scorso che ha portato in piazza un milione di donne, Dacia Maraini ha dichiarato “l’ho provato sulla mia pelle: le voci femminili se sono isolate, non contano. La voce delle donne ha peso solo se ha dietro un sentire comune”. Qual è la Sua opinione al riguardo?
“La mia opinione è identica a quella di Dacia Maraini. Una voce sola non ha il minimo peso, quella di molti può cambiare il mondo. Lo abbiamo già visto nel corso della storia e lo stiamo vedendo anche in questi mesi, non lontano da qui. Se poi questi “molti” diventano “molte” e se queste molte, pur non essendosi mai incontrate prima, pur non condividendo bandiere o ideologie, si ritrovano in piazza per cercare di gridare la propria insoddisfazione verso un potere arrogante che spegne aspirazioni e desideri legittimi, allora significa due cose. Una che partecipare alla “res publica” è un diritto, e due che le nostre coscienze, per fortuna, sono meno appannate di quello che ci vogliono far credere. “Libertà è partecipazione” cantava Giorgio Gaber: credo che nessuna frase meglio di questa possa definire il sollievo che tutte noi abbiamo provato dopo il 13 febbraio.”
(1) “E’ necessario che vi siano scandali, ma guai a colui che porta lo scandalo”. Simone Weil, Quaderni
Valeria Montaldi, giornalista e scrittrice, vive e lavora a Milano. Ha esordito nel 2001 con Il mercante di lana (BUR), cui sono seguiti Il signore del falco (2003), Il monaco inglese (2006) e Il manoscritto dell’Imperatore (2008).
Autrice: Valeria Montaldi
Titolo: La ribelle
Editore: Mondadori
Anno di pubblicazione: 2011
Prezzo: 19,90 euro
Pagine: 468