Il titolo, “Il punto G dell’uomo” (Nottetempo, 2011), non è dei più affascinanti ma magari in libreria “acchiappa”, chissà. L’antropologo Franco La Cecla si cimenta in un’appassionata ma al contempo misurata apologia del desiderio maschile. Intanto i suoi tentativi di scagionarlo dalle risentite accuse di nuda brutalità sono preceduti dalla necessità di definirlo implicando riflessioni punti di vista narrazioni che a ritroso scorrono fino alla tragedia greca e a Platone: alle fondamenta insomma.
Evidente e condivisibile il bisogno di scrollarsi di dosso il politicamente corretto – e ci mancherebbe – a partire da una serie di interrogazioni che non originano però solo dalla filosofia e dalla letteratura ma soprattutto dall’osservazione del quotidiano, e concludono almeno parzialmente su una certezza condivisibile: il desiderio maschile è sotto assedio. Perché si tende ad addomesticarlo, a ridurlo a un codice moralmente accettabile che escluda la violenza dal suo orizzonte. Si slitta nella chiacchiera e nella pubblicistica d’oggidì senza accorgercene dalla critica “politica” al sesso comprato da(gl)i (im)potenti di governo al biasimo del desiderio maschile in sé: o almeno, a quello che La Cecla considera un suo tratto costitutivo: l’essere fuori di ragione, non solo nel senso ovvio che il desiderio può essere più forte delle preoccupazioni “razionali” per tenerlo a bada; ma pure del tutto estraneo a qualsiasi servitù, anche indotta: ché il desiderio è uno scarto, una sottrazione non solo agli obblighi sociali e morali ma un deragliamento chissà forse salutare rispetto alla costruzione avventizia di una vita tanto sicura quanto forse mancata.
Il desiderio maschile basta a sé stesso e perciò, da un certo punto di vista, “non ha senso”. Con il che, supponiamo, starebbe anche la sua bellezza: che è quella che nel maschio si esercita come attrazione verso la bellezza tout court. Ed è questo che un mondo mercantile come il nostro non tollera; gli apparati medico-giuridici in cui si (dis)orienta oggi il discorso intorno alla sessualità, in fondo rappresentano un sostegno a questa concezione tutto sommato utilitaristica del desiderio. L’approccio moralistico esibito anche nella pubblicistica femminile non cambia le cose e aiuta piuttosto a confonderle. Scrive La Cecla che “l’uomo si innamora perché trova interessante intraprendere un viaggio nel mondo della donna”. Avrei i miei dubbi. Appunto, la confusione regna sovrana. Ma c’è un punto di vista dichiarato in questo saggetto, “la passione per le differenze sessuali come costruzioni culturali” che va apprezzato a prescindere dalle singole articolazioni -discutibili come altre: il cappello politico che si mette oggi sull’argomento è gravato da un moralismo “progressista” che nuoce alla verità, senza che nessuno ne abbia una, per carità, ma aggiunge di sicuro una spessa cappa di ipocrisia in un certo senso più pericolosa di quella storicamente definibile come “cattolica”, religiosa: perché qui più scivolosa, “democratica”. Forse è ora che all’osceno insito nel desiderio maschile si ridia l’aria gli è propria.
Franco La Cecla (Palermo, 1950) has taught Cultural Anthropology at the Universities of Venice, Milan, Paris, Barcelona, Berkeley and Lausanne. His books include: Surrogati di presenza (Bruno Mondadori, 2007), Perdersi, Il malinteso (Laterza, 2008 and 2009), Modi bruschi (Eleuthera, 2010).
Autore: Franco La Cecla
Titolo: Il punto G dell’uomo
Editore: Nottetempo
Anno di pubblicazione: 2011
Prezzo: 13,50 euro
Pagine: 140