Su Emir Kusturica, di cui Feltrinelli traduce ora l’autobiografia “Dove sono in questa storia“, si è esercitato il solito vizietto banalmente acritico di incensare un autore fino a dichiararlo il migliore del mondo (successe ai tempi di Underground, che rivisto oggi, pur restando un film in certi momenti straordinario, mostra qualche pesantezza di troppo) per poi liquidarlo come un regista di second’ordine.
Le ondate sembrano più emotive che raziocinanti come sempre e seguono correnti sotterranee non proprio limpidissime.
In questa sua autobiografia il bravo regista ci avverte che quello che ha provato a fare è stato combattere l’oblio, senza patetiche concessioni a certa tediosa retorica della memoria. “L’oblio – scrive – è stato messo in funzione dalla teoria della ‘fine della storia’”. Kusturica non è un cineasta di quelli che non sanno niente del mondo che li circonda (che viceversa ne è pieno), che vivono solo nel, di, per il cinema. Kusturica negli anni Novanta fu anche duramente avversato da chi non apprezzava il fatto, né puro né semplice, che egli dicesse un’elementare verità: che non c’erano i buoni da una parte (i croati) e i cattivi dall’altra (i serbi).
Questo libro è dunque anche macrostoria degli ultimi decenni. “Quand’ero ragazzo, nelle piazze principali di New York, Londra e Parigi, i giovani aspettavano in fila i nuovi dischi dei Beatles, di Springsteen, di Dylan. Al posto di opere d’autore, i ragazzi oggi aspettano l’iPhone 4”. Prima di strappare con Ti ricordi di Dolly Bell il “Leone d’oro” a Venezia per la migliore opera prima, Kusturica cresce nella Sarajevo degli anni Sessanta e Settanta. Il sogno interculturale in cui ora hanno smesso tutti di credere, per qualche anno sembra essersi depositato come un fragile tesoro nella tragica città simbolo del Novecento. E il regista trascorre l’infanzia fra Charlie Chaplin e Tito, fra realtà e immaginazione, fra un precocissimo amore per il cinema e il volo nello spazio di Gagarin.
Poi arrivarono a Praga, dove il cinema lo avrebbe studiato per davvero, e il primo grande amore, Maja, la donna che sarebbe diventata sua moglie. Una vita intensa in cui non mancano periodi turbolenti (“come tutti i provinciali che dopo un grande successo si lasciano andare, esageravo con l’alco” scrive, né è mancata la droga), passioni culturali e civili. Evidente insomma che benché il suo sia un cinema di estrema cura formale (non contraddetto dalla sgangheratezza delle storie e dalla programmatica caoticità della scrittura), parliamo di un cineasta sensibile agli eventi della storia come all’ordinario avvicendarsi degli affetti privati; il grande amore per Fellini (le influenze stilistiche nel suo cinema sono fin troppo evidenti) e Bergman – l’ammirazione per un uomo, il secondo, che i giornalisti idioti li prendeva a ceffoni – non gli fa perdere di vista né la vita quotidiana, né il macrocosmo politico e il paesaggio terremotato degli anni della guerra: il padre musulmano (con Papà… è in viaggio d’affari Kusturica vinse a Cannes,), il matrimonio, i parenti, gli amici. Dove sono in questa storia ci fa conoscere il punto di vista intimo quanto eccentrico di un vero artista di quel mondo estroso e per certi versi estremo che chiamiamo Balcani.
Emir Kusturica, nato in una famiglia musulmana della borghesia bosniaca, mostra subito la sua attitudine per il cinema realizzando già al liceo due cortometraggi. Frequenta la celebre accademia cinematografica Famu di Praga dove si laurea nel 1977 con il corto Guernica, premiato al Festival di Karlovy Vary. Esordisce alla regia di lungometraggi nel 1981 con Ti ricordi di Dolly Bell? , che conquista il Leone d’Oro per la Migliore opera prima alla Mostra del Cinema di Venezia. Papà… è in viaggio d’affari (1985) si aggiudica la Palma d’Oro al Festival di Cannes. Nel 1989 dirige Il tempo dei gitani, che vince il Gran Premio della Regia a Cannes. Nel 1992 dirige il suo primo e unico film americano, Arizona Dream. Nel 1995 è autore di Underground, premiato con la Palma d’Oro a Cannes. Con Gatto nero, gatto bianco vince, nel 1998, un Leone d’Argento alla Mostra del Cinema di Venezia. Nel 2004 esce La vita è un miracolo, un adattamento balcanico della storia di Romeo e Giulietta, girato sulle montagne di Mokra Gora. Lì, con la troupe costruisce un villaggio in legno, Küstendorf. Il villaggio, da allora aperto al pubblico, avamposto dell’altermondializzazione, vince nel 2005 il Premio europeo d’architettura Philippe Rotthier. Nel 2007 esce il film Promettilo e nel 2008 il documentario Maradona (Feltrinelli Real Cinema). Il suo lungometraggio Cool Water uscirà nella primavera 2011 e sarà presentato a Cannes.
Autore: Emir Kusturica
Titolo: Dove sono in questa storia
Editore: Feltrinelli
Anno di pubblicazione: 2011
Prezzo: 19,50 euro
Pagine: 341