Ne “I buoni vicini” (Fanucci editore, 2011) di Ryan David Jahn, numerose sono le storie disperanti e disperate: un veterano di guerra che prepara a tavolino il il suicidio; un anziano professore dilaniato dai suoi scheletri nell’armadio; un ricattatore patetico e grottesco. La modalità narrativa ha lo stesso effetto straniante di un reality, ma dalla potenza voyeuristica centuplicata. Questo lavoro convince e merita tutto il nostro interesse.
“Comincia in un parcheggio. Il parcheggio sta dietro a un bar sport, un edificio in mattoni ferito e segnato molte volte nel corso della sua lunga storia. È stato colpito da ubriachi al volante andati all’indietro invece che in avanti, gli sono state incise addosso iniziali ed è stato aggredito da vandali ubriachi. Una volta, quindici anni fa, qualcuno cercò di appiccargli il fuoco. Sfortunatamente per il potenziale piromane, le previsioni davano pioggia. E così il bar sport è ancora in piedi. Sono quasi le quattro del mattino, le tre e cinquantotto, un oscuro tempo morto prima che anche solo un accenno di luce tocchi l’orizzonte orientale. Unicamente tenebra. Il bar è chiuso e silenzioso. Nel suo parcheggio, di solito animato, giacciono solo tre auto: una Studebaker del 1957, una Oldsmobile del 1953 e una Ford Galaxie del 1962 con un paraurti ammaccato. Due delle auto appartengono a clienti. Una a un venditore porta a porta che passa le sue giornate cercando di sbolognare aspirapolveri; l’altra, a un disoccupato che passa le sue giornate a fissare il soffitto crepato dell’appartamento per il quale ha tre mesi di affitto arretrato. Entrambi avevano alzato un po’ troppo il gomito la sera prima e trovato altri mezzi per rientrare, probabilmente un taxi. In particolare il ragazzo disoccupato.”
Questo è l’incipit de “I buoni vicini” di Ryan David Jahn edito da Fanucci, libro che in fatto di suspence ha molto da dire, e molto da offrire. Attualmente in circolo, tra le novità in libreria vi sono molte “cose preziose”, certo macchiate da un po’ di sangue, ma comunque da leggere assolutamente. Penso allo splendido lavoro per Rizzoli di Mario Baudino “Ne uccide più la penna”, dove l’autore si preoccupa di cercare con acume tra le pagine dei noir e gialli più belli e avvincenti, la figura quasi mitologica del libraio, quello ovviamente a metà strada tra il detective bibliofilo e il monomaniaco bibliomane.
Poi ti capita tra le mani, un libro che è a dir poco mozzafiato, appunto l’ultima fatica letteraria di R.D. Jahn. Intanto possiamo dire che gli amanti di autori del calibro di Dennis Lehane, Richard Price e James Ellroy, avranno investito bene il loro denaro nell’acquisto di questo libro, venendo addirittura ripagati da atmosfere, suggestioni, palpitazioni forse più intense di quelle degli autori precedentemente indicati. Forse (non me ne voglia nessuno) ci vedo un salto di paradigma visionario anche rispetto alle immense nuances cinematografiche del maestro Alfred Hitchcock. Quest’opera è una richiesta d’aiuto della protagonista che non troverà mai soddisfazioni nel tracciato della storia raccontata, anzi pagina dopo pagina si respira una pesante coltre di angoscia e agonia che tengono inchiodati il lettore alla sedia.
Siamo alle 04:00 a.m. del 13 marzo del 1964. Come ogni sera una giovane donna chiude il bar dove lavora. Sta tornando a casa, ma qualcosa non va per il verso giusto e viene aggredita. Tutto viene sospeso in un mondo dominato dal silenzio e dalla negazione. Tutti osservano tutto, nessuno muove un dito.
“Il venditore potrebbe aver scroccato uno strappo a un amico, ma il ragazzo disoccupato quasi certamente aveva preso un taxi. Se hai trenta dollari e l’affitto è ottanta, non ha senso risparmiarne nemmeno uno. Bevi finché sei ubriaco e paga per un passaggio a casa. Già che ci sei potresti pure goderti il viaggio fino in fondo. È quando hai ottantasette dollari e l’affitto è ottanta che devi risparmiare. Bicchieri di carta e altra immondizia, tipo giornali e involucri di cibo, ricoprono l’asfalto sbiadito dal sole. Soffia una brezza che sospinge la spazzatura attraverso la superficie crepata, solo per un momento, riordinando delicatamente i rifiuti prima di continuare ancora, di nuovo. E poi una bella ragazza – una donna, in realtà, anche se lei non si sente adulta – apre con una spinta la porta del bar sport ed esce fuori. Si chiama Katrina – Katrina Marino – ma quasi tutti la chiamano Kat.“.
Ryan Davide Jahn è uno scrittore e sceneggiatore statunitense. Ha vissuto in Arizona, California, Georgia, Missouri e Texas. Dopo una breve esperienza nell’esercito, ha lavorato come bidello, operaio e carrellista. I buoni vicini ha ottenuto un grande riconoscimento da lettori e critica e ha vinto il prestigioso premio New Blood Dagger della Crime Writers’ Association nel 2010.
Autore: Ryan David Jahn
Titolo: I Buoni vicini
Editore: Fanucci
Anno di pubblicazione: 2011
Prezzo: 16 euro
Pagine: 240