Philip Roth e la Nemesi del più grande

nemesi-rothSono trenta, credo. Trenta romanzi per il più grande scrittore vivente. Che ha scritto alcuni fra i libri più belli di tutti i tempi, alcuni ottimi romanzi e anche qualche noioso sermone o fiacca ripetizione del già scritto tante altre volte prima e meglio. Negli ultimi anni – ne ha settantotto – proprio allegrissimo non sembra: torna di continuo sulla malattia, il dolore, la solitudine, la morte. Lo fa anche in “Nemesi (Einaudi, 2011), l’ultimissimo libro.

Questo a molti commentatori stucca. Leggo per esempio la sorprendente chiusa a una recensione di Tim Parks: “Viene il sospetto che per Roth la narrativa sia allo stesso tempo un surrogato di godimento e una forma convenzionale che lo protegge da conseguenze negative”. Che è uno strano modo di far critica. Non ai testi ma ai bisogni morali o psicologici o emotivi di chi li scrive. E anche se fosse? Roth non ne avrebbe diritto? Torniamo alla gobba di Leopardi? Senza la quale il povero cristo di Recanati avrebbe sofferto un po’ meno e avrebbe scritto cosette più allegre? Per caso la sua visione tragica della vita sarebbe stata meno plausibile?

Sono temi di persone anziane, si è letto in giro.

Proprio. Ci stanno dicendo che ci sono temi per vecchi, che il pubblico, compreso quello dei critici-recensori, non gradisce, che si ammorba. Roth non deve giustificarsi per il fatto che non scriva più come un tempo – laddove uno che ha scritto il Lamento di Portnoy, La Controvita, ll teatro di Sabbath, Pastorale America e potrei fermarmi qua, avrebbe tutto il diritto di pubblicare i resoconti delle bollette telefoniche – ma di essere un anziano signore che rompe le scatole al prossimo per questo fatto (l’invecchiamento) controvertibile solo con qualcosa di peggio: la morte. Può darsi anche che i suoi ultimi libri siano ossessive, rituali rimostranze di un esorcista: be’, ne avrebbe tutto il diritto. La critica dica cosa non va in questi romanzi, invece di imputare all’autore il fatto che sarebbe troppo preso dal bisogno di negare l’esistenza di dio per esempio, o che sia fissato con il male, o che sia terrorizzato dalla morte: vorrei ben vedere. Aspettiamo un’analisi che sia un’analisi.

Il libro, eccolo. Nel quartiere ebraico di Newark, estate 1944, con gli Usa impegnati nella guerra contro il nazifascismo, un’epidemia di polio rischia di fare danni terribili. Per difendere i bambini e i ragazzi dal morbo, l’insegnante di educazione fisica Bucky Cantor cerca di fare il massimo che è nelle sue possibilità – purtroppo per lui, nulla. Il nonno, con il quale è cresciuto, gli ha insegnato che il bene è il frutto di una vita attiva, responsabile; e che deve imparare a cavarsela, sempre. Il ragazzo è stato già messo a dura prova dalla vita; deve accettare l’evidenza di un padre delinquente (non ci avrà mai nulla a che fare). Inoltre, un grave difetto alla vista gli ha impedito di andare a fare il suo dovere di patriota in Europa (lo smacco non è stato leggero). Quando la poliomielite attacca il quartiere ebraico, ovviamente si scatena il panico e si dà la caccia al solito capro espiatorio.

Gli italiani hanno le loro buone ragioni per essere sospettati. Ma lo stesso alacre impegno di Cantor – un po’ zelante nel tenere i ragazzi sui campetti infuocati dal sole dell’estate, in condizioni fra l’altro non sfavorevoli al contagio – non viene visto di buon occhio. Bucky così inizia a interrogarsi su questo strano dio che falcidia vite innocenti, su quella che gli pare l’esibizione di un potere arbitrario sconcertante. Come non pensare che questo dio sia niente? Solo dopo parecchie insistenze della fidanzata, e la verifica diretta di una sopravvenuta isteria in seno alla comunità cui appartiene, si decide a fuggire in un campo estivo, dalla ragazza, ebrea di sicuro più pacificata di quanto non sia mai stato lui, anima “semplice” sì (nulla del classico personaggio rothiano pieno di humour anche nella tragedia) ma certo non superficiale. Fin troppo sensibile piuttosto ai richiami del dovere, angosciato da quello che sta accadendo. Difatti, il capro espiatorio se lo sceglie impegnativo: dio stesso. Perché si accanisce contro questa innocente comunità? Bucky comincia a odiarlo, più che a metterne in dubbio l’esistenza.

Il tormento non prevede il lieto fine, spiace per i giovani attardati edonisti delle patrie lettere.

Philip Roth ha vinto il Premio Pulitzer nel 1997 per Pastorale americana. Nel 1998 ha ricevuto la National Medal of Arts alla Casa Bianca, e nel 2002 il piú alto riconoscimento dell’American Academy of Arts and Letters, la Gold Medal per la narrativa. Ha vinto due volte il National Book Award e il National Book Critics Circle Award, e tre volte il PEN/Faulkner Award. Nel 2005 Il complotto contro l’America ha ricevuto il premio della Society of American Historians per «il miglior romanzo storico di tematica americana del periodo 2003-2004». Recentemente Roth ha ricevuto i due piú prestigiosi premi PEN: il PEN/Nabokov Award del 2006 e il PEN/Saul Bellow Award for Achievement in American Fiction. Roth è l’unico scrittore americano vivente la cui opera viene pubblicata in forma completa e definitiva dalla Library of America. Di Philip Roth Einaudi ha pubblicato: Pastorale americana, Operazione Shylock, Il teatro di Sabbath, Ho sposato un comunista, Lamento di Portnoy, La macchia umana, L’animale morente, Lo scrittore fantasma, Zuckerman scatenato, Chiacchiere di bottega, Il complotto contro l’America, Il seno, La lezione di anatomia, Inganno, L’orgia di Praga, Everyman, Patrimonio, Il fantasma esce di scena, Il professore di desiderio, Indignazione, L’umiliazione, La controvita e il volume Zuckerman che raccoglie i romanzi Lo scrittore fantasma, Zuckerman scatenato, La lezione di anatomia, L’orgia di Praga e Nemesi.

Autore: Philip Roth
Titolo: Nemesi
(traduz. di N. Godetti)
Editore: Einaudi
Anno di pubblicazione: 2011
Prezzo: 19 euro
Pagine: 186

3 thoughts on “Philip Roth e la Nemesi del più grande

  1. Caro Recensore,
    sono proprio contenta di aver trovato il suo articolo. Finalmente. Non ho ancora letto il libro (ho l’abitudine di aspettare che si calmino le acque) ma ho letto tutti gli altri, tranne ‘Il seno’, ‘Inganno’, ‘Orgia di Praga’, ‘Il professore di desiderio’, ‘L’umiliazione’ e ‘La controvita’. Anzi, le sono grata per le segnalazioni. Ogni tanto lo trovo un po’ irritante, la sua scrittura è anche un po’ faticosa, ma comunque mi piace molto.
    Nei mesi scorsi, mentre si scatenava la fanfara per il Franzen, ho letto molte critiche negative sull’ultimo di Roth. E mi sono molto irritata. Ha ragione, si tratta di critiche per modo di dire…
    Siccome devo dirle ancora un paio di cose e mi pare che lo spazio residuo non lo consenta, le mando qui di seguito un altro messaggio. F.A.

  2. Il personaggio che ha descritto mi ricorda la figura di Giobbe, che ha avuto la ‘sfacciataggine’ di interrogare Dio e pretendere una risposta.
    E mi ha fatto venir voglia di condividere con lei questa citazione da ‘La notte’ di Elie Wiesel sull’impiccagione ad Auschwitz di tre prigionieri, di cui un bambino, “l’angelo dagli occhi tristi”:
    “I tre condannati salirono insieme sulle loro seggiole. I tre colli vennero introdotti contemporaneamente nei nodi scorsoi.
    Viva la libertà! – gridarono i due adulti.
    Il piccolo, lui, taceva.
    – Dov’è il Buon Dio? Dov’è – domandò qualcuno dietro di me.
    A un cenno del capo del campo le tre seggiole vennero tolte.
    Silenzio assoluto. All’orizzonte il sole tramontava.
    […]
    Poi cominciò la sfilata. I due adulti non vivevano più. […]Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora…
    Più di mezz’ora restò così, a lottare tra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. […]
    Dietro di me udii il solito uomo domandare:
    – Dov’è dunque Dio?
    E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:
    – Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca…”.
    Se potessi, manderei il messaggio a Philip Roth, ma lo mando a lei. Le auguro buon lavoro. Un caro saluto, Francesca

  3. Certo, è lontano dal Roth migliore, l’urgenza di dire alla sua età che il mondo è insensato, terribile, che se dio è questo meglio sarebbe che non ci fosse sovrastano il resto – ma è imbarazzante che molti lo trovino “imbarazzante” senza osare uno straccio di analisi: ma si sono letti?

Comments are closed.