Che la cinematografia asiatica (ci si perdoni l’approssimazione, peraltro legittimata dall’uso che ne ha fatto un esperto quale Dario Tomasi in due libri recenti) negli ultimi anni sia stata spesso la più interessante sulla scena mondiale di un’arte altrimenti agonizzante quale sembra essere ormai il cinema, è per chi scrive fuori discussione. Il cinema coreano in particolare vi ha giocato un ruolo non certo di secondo piano.
E avanzando con lo zoom direi quello di Park Chan-Wook, noto per la cosiddetta “trilogia della vendetta”, sbrigativa espressione con cui secondo l’autore di questo saggio, Michelangelo Pasini, si fraintende e sminuisce un po’ l’intera filmografia del regista coreano.
Che va ben oltre Sympathy for Mr. Vengeance, Oldboy e Sympathy for Lady Vengeance. L’assunto piuttosto è che “con uno stile capace di sintetizzare classicismo e modernità, cinema di genere e caratteri decisamente più autoriali, Park Chan-Wook è stato tra gli alfieri della new wave coreana del nuovo millennio.”
Nato nel 1963, Park Chan-Wook si è occupato di critica d’arte e cinematografica. Il primo film è del 1992 The Moon is… The Sun’s Dream, cui seguirà diversi anni dopo Trio.
Non lasciano segni rilevanti. Il successo manca fino a JSA – Joint Security Area, girato in super 35mm. Non mancano invece anche nelle opere successive elementi anche cospicui di genere e spettacolari (del tipo disturbanti o compiaciuti, a seconda del punto di vista: quello che trova le sue differenze stereotipe nella visione del sangue, per esempio) senza i quali evidentemente il successo che invece poi è arrivato deflagrante sarebbe rimasto un’improbabile scommessa. Però, scrive nella prefazione Darcy Parquet, egli “ribalta e stravolge le abituali coordinate fino a giungere a un vero e proprio punto di rottura, tanto da rendere impossibile la classificazione dei suoi lavori”. Evidenti le assonanze con il cinema di Tarantino, compresa una certa morbosità che si concede a un gusto mainstream anche giovanile, pubblico però non sempre in grado di intendere sino in fondo lo spessore morale e ragionativo implicato dal cinema del regista coreano.
Ossessione suicidale, etica o delirio della vendetta che è anche un’estetica della resa dei conti sono motivi scritti attraverso i codici del thriller, del noir o dell’hard-boiled reinventati in un’accezione paradossalmente non lontana dall’intimismo: primo perché lo sviluppo psicologico è più importante delle pure azioni (cosa che si può dire meno di Tarantino, fatta eccezione forse per Le Iene) e in secondo luogo perché è l’intima e più profonda sensibilità dello spettatore che viene strappata alla possibilità del mero godimento visivo scaraventata com’è in un gorgo di solitudine estrema e per così dire originaria, angosciante, quella dove giacciono telluriche, terribili, le domandi sorgive sul bene e il male.
Questo producono le lunghe inquadrature che improvvisamente rompono l’apparente vicinanza di questo cinema al genere e determinano invece la novità di uno sguardo filmico che sa essere acuminato e modernissimo. Variando lo stile, saggiando differente possibilità di scrittura e movimento della mdp, sviluppando modalità espressive sempre funzionali ai temi affrontati e raramente chiusi al puro benché perverso godimento della retina, in film come Old boy – al netto delle enfatiche concessioni al genere – il cinema di Park Chan-Wook riesce a riformulare le domande capitali intorno all’umano che sempre più, a quella che una volta si chiamava settima arte, gli riesce di fare.
In appendice all’interessante libro, filmografia e bibliografia.
Park Chan-wook è conosciuto in Occidente quasi esclusivamente per quella che critica e pubblico amano chiamare la trilogia della vendetta. Ma nonostante Sympathy for Mr. Vengeance, Oldboy e Sympathy for Lady Vengeance rappresentino un tassello fondamentale della sua filmografia, non si può limitare la poetica del regista coreano a queste tre pellicole. Con uno stile capace di sintetizzare classicismo e modernità, cinema di genere e caratteri decisamente più autoriali, Park Chan-wook è considerato uno degli alfieri della new wave coreana del nuovo millennio.
Autore: Michelangelo Pasini
Titolo: Oltre la vendetta – Il cinema di Park Chan-Wook
Editore: Il Foglio letterario
Anno di pubblicazione: 2010Prezzo: 18 euro
Pagine: 229
grazie!
mi scuso per il refuso “il cinema di Park Chan-Wook riesce a riformulare le domande capitali intorno all’umano che sempre più, a quella che una volta si chiamava settima arte, gli riesce di fare.”
volevo dire MENO gli riesce di fare