Il 24 luglio del 1992, ai funerali di Paolo Borsellino, il giudice Caponnetto si presentò come “un vecchio ex magistrato che è venuto, nello spazio di due mesi, due volte a Palermo con il cuore a pezzi a portare l’ultimo saluto ai suoi figli, fratelli e amici…”. Queste parole, insieme a quelle di molti altri discorsi, interviste e interventi del giudice sono raccolte nel libro “Io non tacerò” (Melampo, 2010). La testimonianza di una lunga vita di lotta alla mafia, ma anche di lotta all’indifferenza, a un silenzio complice.
Accanto al doloroso ed emozionante ricordo di Falcone e Borsellino, le parole di Caponnetto offrono una lucida e puntuale disamina del fenomeno della mafia, fornendo le coordinate necessarie per comprenderlo e sviscerando impietosamente i legami che essa intrattiene col mondo politico. Senza usare mezzi termini, il giudice afferma che “a differenza delle organizzazioni puramente criminali, o del terrorismo, la mafia ha come sua specificità un rapporto privilegiato con le élites dominanti e le istituzioni, che le permettono una presenza stabile nella struttura stessa dello Stato”.
Non si dimentichi, però, che la mafia affonda le sue radici e trova sostegno e nutrimento in una diffusa mentalità mafiosa: “La mafia è l’estensione logica e la degenerazione ultima di una onnicomprensiva cultura del clientelismo, del favoritismo, dell’appropriazione di risorse pubbliche per fini privati”. Si tratta, in breve, del “prevalere di interessi forti sui valori forti”.
Alla difesa dei valori di democrazia, libertà e legalità, così come alla difesa della Costituzione è dedicata gran parte dell’oratoria di Caponnetto. Negli anni passati “a girare per le scuole e per le piazze” egli ha raccontato e spiegato “quali sono gli ideali per i quali battersi”, con appelli che si fanno appassionati, soprattutto quando sono rivolti ai più giovani: “Però state attenti! State attenti a difenderli questi valori. Non sono valori che si conservano in eterno. Se non teniamo alta la guardia, ci sarà sempre qualcuno – la storia lo dimostra – pronto a privarci di nuovo di questi beni che sono costati tanto sangue e tanti sacrifici”. Senza neanche il bisogno di sporcarsi le mani con atti di violenza e dittature, “oggi basta l’opera subdola, strisciante e silenziosa di una grossa informazione pilotata”.
Il giudice ripone la sua speranza più grande nella scuola, nei giovani: “l’incontro con voi mi è sempre di conforto. Perché credete a quello che dico. Perché cercate disperatamente di farmi capire che attendete delle indicazioni e vorreste tanto liberarvi dei disvalori che vi stiamo insegnando, come genitori, come docenti, come istituzioni”. Fondamentale deve essere, allora, il costante lavoro di “arricchimento culturale” portato avanti dall’educatore, che non può limitarsi a fornire sterili nozioni, ma deve insegnare i valori che accompagneranno i ragazzi per la vita. “Senza cultura – dice Caponnetto – non può esserci partecipazione, senza partecipazione, non può esserci politica”.
Nelle ultime pagine del libro, le parole del giudice si velano di amarezza quando, ormai avanti negli anni, deve constatare il progressivo calo di tensione nella lotta alla mafia e, contestualmente, un sempre più violento attacco alla magistratura. Attacco che si concretizza in discutibili riforme della giustizia, campagne stampa denigratorie, mancanza di risorse e di finanziamenti. Ma sono soprattutto il silenzio (sui giornali, nei programmi dei partiti, persino nei libri di testo scolastici) e la crescente indifferenza intorno al tema della mafia a rappresentare un tradimento nei confronti di quanti hanno perso la vita per la causa della legalità, della fedeltà alle leggi e del “rispetto della persona umana”: “io credo che li stiamo tradendo ogni giorno di più”.
Inverno 2001: “me lo chiedo con angoscia: che ne è delle decine di migliaia di persone che incontravamo, con cui parlavamo di Falcone e Borsellino, di ideali, di cambiamenti… e venivano, venivano a riempire le sale, le piazze. Venivano… e ora dove sono quei ragazzi, dove sono finiti? Me lo chiedo con angoscia…”.
Antonino Caponnetto: In magistratura dal 1954, la sua carriera ebbe una svolta nel 1983 quando chiese e ottenne il trasferimento a Palermo, dopo l’uccisione del giudice Rocco Chinnici. Capo dell’Ufficio istruzione di Palermo, costituì il pool antimafia con Falcone e Borsellino, e istruì il primo grande processo contro Cosa nostra. Concluse la sua carriera nel 1990 con il titolo onorifico di presidente aggiunto della Corte suprema di Cassazione, ma le stragi del 1992 lo restituirono al Paese come testimone della lotta per la legalità. Nel 1993 l’impegno politico e civile lo portò anche a essere il candidato più votato alle elezioni amministrative di Palermo, dove divenne per un breve periodo presidente del consiglio comunale. Scrisse, insieme a Saverio Lodato, “I miei giorni a Palermo” (Garzanti, 1992). Per tre volte raccolte di firme popolari lo candidarono senatore a vita. Nel dicembre del 2002 nessun rappresentante del governo partecipò ai suoi funerali.
Autore: Antonino Caponnetto
Titolo: Io non tacerò
Editore: Melampo
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 16 euro
Pagine: 288