Si parla dell’Ilva e di questioni delicate e interessanti nell’ultima pubblicazione di Kurumuny a cura di Fulvio Colucci e Giuse Alemanno dal titolo “Invisibili – vivere e morire all’Ilva di Taranto“. Ma facciamo qualche passo indietro. Accanto al “brand” Salento (marchio d.o.c. dalla pizzica all’editoria) anche Taranto assurge sempre più spesso negli ultimi tempi a geografia letteraria di tutto rispetto, a brand da esportare oltre i confini regionali pugliesi.
“Lasciai l’Italsider nell’87. Ho rimpianto lo stabilimento siderurgico per quel senso di fratellanza tra compagni di lavoro. Eravamo sulla stessa barca. Tutti a remare nello stesso senso. Perché il mistero del metalmezzadro, o del pescatore che si fece operaio, resta tutto ancora da scoprire. Quale grande inclinazione permetteva a questi uomini, della terra e del mare, di mostrare una così grande versatilità nel lavoro meccanico? La mano? L’occhio, appunto, che rubava il mestiere? La versatilità traccia di uno spirito artigiano? La pazienza e la fame?“. (Pescatore e operaio di Fulvio Colucci).
Tra editor, critici e valenti penne da Mario Desiati, a Michelangelo Zizzi a Girolamo De Michele (solo per citarne alcuni), la città di Taranto si racconta attraverso una serie di libri molto interessanti. Penso a “Taranto-Firenze, monologo dell’ultimo dei Pazzi” di Agostino Palmisano (Lupo editore) che narra di una Taranto psichedelica tra precariato, visionarietà e deriva; prendo in considerazione “L’Eroe dei due mari” di Giuliano Pavone edito da Marsilio X, ricchissimo di una folta selva di storie e malumori che si agitano sotto la cappa di una città cancrenosamente decadente e velenosamente italsiderea; impossibile non citare per i tipi di Edizioni Controluce “Belli di papillon verso il sacrificio” Giuseppe Cristaldi dove si descrive una Taranto tutta viva nella mente di un ragazzo che erige un vero e proprio monumento al padre morto, figura border-line nato e cresciuto nel quartiere Tamburi dove ha alimentato favole e racconti sulle proprie gesta. Spinto alla disperazione da un’ingiunzione di trasloco, l’uomo si ucciderà. L’orazione del figlio sarà un canto di lotta contro i potenti e i prepotenti.
La nostra italietta intanto tra “guardonismo” televisivo, “bunga bunga” vari, e spregiudicate e insensate azioni militari internazionali, dimostra come sempre più forte sia il senso della perdita di orientamento in così tanta oscurità. Soprattutto poi quando ce lo ricordano case editrici che investono (dandoci un po’ di luce…) invece su pubblicazioni di impegno civile e di scandaglio sociale profondo come la casa editrice Kurumuny cbe edita per l’appunto “Invisibili – vivere e morire all’Ilva di Taranto” di Fulvio Colucci e Giuse Alemanno. Libro assolutamente consigliato (da far conoscere anche nelle scuole del nostro paese) per quanti vogliano capirne di più riguardo a situazioni, luoghi, vite legate all’ex Italsider, ora Ilva, e dunque vogliano capirne della storia della nostra regione e della nostra Italia, che ancora ha molto da dire e ancora può aiutare a riflettere. Si tratta di un lavoro che sta “montando” come interesse ogni giorno che passa, e soprattutto sta canalizzando una serie di vicinanze da persone che all’Ilva sono state legate anche da rovinosi lutti avuti in famiglia. E di mezzo ci sono i sindacati, ci sono le politiche del lavoro, c’è la dignità del lavoro, ci sono i turni, e la vita dura di ogni giorno.
Oggi l’Italsider non esiste. C’è l’Ilva. Un nome che a solo pensarci viene la pelle d’oca per tutto quello che gli ruota attorno. Invisibili di Fulvio Colucci e Giuse Alemanno (Kurumuny edizioni) è un lavoro a quattro mani che raccoglie e racconta vicissitudini di uomini la cui vita è indissolubilmente legata al lavoro, sospesa in aria come il braccio di una gru, operai del più grande stabilimento siderurgico d’Europa, l’Ilva di Taranto, che costituisce con il suo fatturato metà del Pil della Puglia. Per l’economia e per la logica dei profitti un “toccasana”.
“O, per lo meno, non esiste per come generalmente è concepita. Perché non esiste una sola Ilva, ma mille. Ogni reparto, ogni campata ha la sua storia, la sua problematica, la sua peculiarità. I lavoratori del PLA2 hanno situazioni diverse rispetto a quelli della CCO5, del MUA, del porto, del tubificio, dell’agglomerato, della rigommatura o della zincatura. L’Ilva è una entità complessa e se ci si vuol fare una idea più vicina alla realtà della Grande Fabbrica di Taranto è opportuno abbandonare ai tribuni da fiera paesana qualunquismi e cazzate e approcciarsi a essa con serietà, in modo critico e discernente. Magari conoscendo di più la Grande Fabbrica, conoscendo gli ambienti, le condizioni di lavoro, i lavoratori. Magari. Guardarla da fuori non basta. Da fuori è un drago dalle cento gole di fuoco, un vulcano dai cento crateri ruttanti fumi maligni, un deserto dalle cento dune di polvere nera che ovunque si infila. Da dentro l’Ilva è una fabbrica fatta soprattutto di lavoratori.” (L’Ilva non esiste di Giuse Alemanno)
Autore: Fulvio Colucci e Giuse
Titolo: Invisibili. Vivere e morire all’Ilva di Taranto
Anno di pubblicazione: 2011
Prezzo: 10 euro
Pagine: 112