“Un libro su Leopardi non può cominciare che come un’opera buffa”. Nelle prime righe di “Leopardi” (Mondadori, 2010) di Pietro Citati, il critico letterario definisce il padre di Giacomo come un personaggio involontariamente farsesco. Da questa figura parte il viaggio del saggista dentro la vita e le opere del più grande poeta lirico italiano. Il conte Monaldo Leopardi “uomo sottile e inquieto” era nato a Recanati nel 1766 da un’antica famiglia che risaliva al XIII Secolo.
Leopardi senior, tipico uomo dei suoi tempi, aveva solo vent’anni quando si era ritrovato “pieno zeppo di debiti, e incamminato a rovina totale”, come scrive egli stesso nella sua Autobiografia. A riassestare le fortune dei Leopardi era stata sua moglie e madre di Giacomo, Adelaide Antici, che teneva in mano l’amministrazione familiare. Il 15 giugno 1797 durante la festa di San Vito protettore di Recanati, Monaldo mentre assisteva alla Messa solenne aveva fissato lo sguardo sulla marchesa Adelaide Antici. Era bastato un minuto a Monaldo per innamorarsi della bellissima Adelaide. “Alle 7 pomeridiane del 29 giugno 1798, esattamente nove mesi e due giorni dopo le nozze, Giacomo Taldegardo Francesco Salesio Saverio Pietro Leopardi venne alla luce” primo di otto figli.
In questa monumentale ed esauriente biografia di Giacomo Leopardi e del suo mondo, Citati offre al lettore un ritratto unico e inedito costato all’autore anni di ricerche, come testimoniano le note bibliografiche poste alla fine del volume. A metà tra monografia e biografia si racconta l’esistenza di un uomo dalla sensibilità e intelligenza straordinarie che anelava a un altrove che forse non trovò mai. La scoperta del mondo esterno per Giacomo ebbe inizio nella biblioteca paterna “centro della vita della famiglia e regno dei figli, specie di Giacomo”. La biblioteca era stata organizzata da Monaldo tra il 1808 e il 1810 “quando Napoleone soppresse le congregazioni e i conventi e i loro libri vennero posti all’incanto”. La biblioteca nella quale mancavano i classici greci, rappresentava per Monaldo il cuore dell’universo. Per Giacomo invece l’universo era fuori “il natio borgo selvaggio”. Monaldo amava il figlio di un amore esclusivo e non “poteva tollerare che Giacomo restasse lontano da Recanati”. Passavano gli anni, la stella napoleonica era spuntata in Francia e tramontata a Waterloo e la situazione nel carcere dorato di Palazzo Leopardi non era cambiata. Leopardi nello Zibaldone aveva scritto che il padre “non sapeva sopportare non solo la realtà, ma nemmeno l’idea di un evento qualsiasi”. Monaldo fu per i figli padre e madre perché Donna Adelaide indifferente alla sorte dei suoi congiunti concepiva la felicità come sublimazione del dolore. La marchesa voleva punire la propria bellezza e la gioia, non usciva mai da casa se non il sabato mattina alle sette per recarsi alla Messa nella chiesa distante cinquanta metri da Palazzo Leopardi. Adelaide trascorreva il proprio tempo a spiare, controllare e soprattutto a risparmiare, perché le dissennate spese di Monaldo avevano condotto sul lastrico la famiglia. La contessa Leopardi era riuscita a risollevare il patrimonio familiare solo a costo di altissimi sacrifici economici. E intanto la mente fervida di Giacomo elaborava confinato suo malgrado nel sepolcro di Recanati, borgo provinciale all’interno di uno degli Stati più retrogradi d’Europa. Leopardi riuscì a evadere dal carcere solo alla fine del 1822 “passati i ventiquattro anni”.
Non fu lo studio “matto e disperatissimo”, lo stare chino sui libri fino a notte inoltrata a minare il fisico di Leopardi, ma il morbo di Pott la tubercolosi ossea. ”La cosa più grave era che Leopardi si sentiva colpevole della propria malattia”. Citati fa il triste elenco dei malanni di Giacomo alto solo un metro e quarantuno centimetri “aveva tutte le malattie possibili”. Una condizione di vita tremenda aggravata dalla terribile depressione, oggi definita psicosi maniaco depressiva, che si ripresentava ciclicamente. Per contrasto Giacomo possedeva una grande, immensa vitalità, che l’autore paragona a Tolstoj “lo scrittore più vitale dell’Ottocento”. Pochi sanno che la poesia l’Infinito venne composta nel 1819 quando Leopardi aveva appena ventuno anni. Rousseau e i poeti romantici avevano considerato l’infinito come un perdersi, un andare sempre più lontano. Leopardi invece non riusciva a immaginare l’infinito se non chiuso, nel quale il muro, il carcere era la famosa siepe. L’infinito che il poeta sognava era puramente mentale. Per questo Giacomo vagheggiava nella mente “interminato spazio e sovrumano silenzio”, ma l’infinito così concepito lo spaventava “ove per poco il cor non si spaura”.
Scrittore, filosofo, una delle più importanti figure della letteratura mondiale Leopardi “conosceva la condizione amarissima che spetta a un letterato”. Egli aveva intuito che la letteratura “rendeva straniero, infelice, malato” escluso dal novero degli uomini normali. A questa esclusione il poeta dedicò a distanza di sette anni due capolavori:
Ultimo canto di Saffo “Placida notte, e verecondo raggio della cadente luna; e tu che spunti fra la tacita selva in su la rupe, nunzio del giorno… ” dove è esplicito il conflitto impari tra l’uomo e la natura;
Il passero solitario nel quale invece c’è il paragone tra la vita del piccolo animale priva di coscienza e memoria e quella dell’uomo gravida di rimpianti.
Più si procede nella lettura della biografia più si comprende la totale immedesimazione che Citati compie nei confronti dell’anima e degli scritti del poeta, perché “per capire un testo bisogna diventare quel testo”. Giacomo Leopardi morì a Napoli il 14 giugno 1837, le sue ultime parole furono per l’amico Antonio Ranieri ”Addio Totonno, non vedo più la luce”.
Il poeta “morì con moltissima grazia, e in tono minore, come in tono minore aveva vissuto quasi tutta la sua vita, celando o velando i dolori, le angosce, la desolazione, le passioni, la solitudine, il dono di essere un genio immenso”.
Pietro Citati è nato a Firenze il 20 febbraio del 1930. Studia a Torino dove frequenta il liceo classico Massimo D’Azeglio. Nel 1942 dopo il bombardamento di Torino, si trasferisce con la famiglia in Liguria. Si laurea in Lettere Moderne alla Scuola Normale Superiore di Pisa nel ’51. Inizia la carriera di critico letterario collaborando a riviste come Il Punto, L’Approdo e Paragone. Dal ’54 al ’59 insegna italiano nelle scuole professionali di Frascati e alla periferia di Roma. Negli anni Sessanta comincia a scrivere per il quotidiano Il Giorno. Dal ’73 al 1988 scrive sulle pagine culturali de Il Corriere della Sera. Dal 1988 è critico letterario de La Repubblica. Tra i tanti romanzi, saggi e biografie ricordiamo; Storia prima felice poi dolentissima e funesta (Rizzoli 1989, Oscar Mondadori 2002), Goethe (Adelphi 1990), Tolstoj (Adelphi 1996), Kafka (Adelphi 2007), Israele e l’Islam (Mondadori 2003), La malattia dell’infinito (Mondadori 2008).
Autore: Pietro Citati
Titolo: Leopardi
Editore: Mondadori
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 22 euro
Pagine: 436
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