All’inizio de “La donna segreta” (Marsilio) di Marta Boneschi, il 10 giugno del 1816 una giovane donna stava cercando di tornare a Milano attraverso il passo del San Gottardo insieme al figlio Ercole di 4 anni e alla domestica Susetta.
Nonostante stesse per arrivare l’estate, le Alpi Svizzere si erano “imprevedibilmente imbiancate”.
Lungo “la strada più alta e insieme la più battuta” tra il nord e il sud dell’Europa che aveva impressionato Alessandro Volta e che Turner aveva dipinto con suggestioni romantiche, Metilde Viscontini Dembowski pensava a ciò che la attendeva a Milano. Nella città lombarda, dove “l’ovile è circondato dai lupi”, era attesa dal marito l’ufficiale napoleonico Jan Dembowski. Sarebbe stata in grado di affrontare la dura battaglia per ottenere la separazione?
Marta Boneschi, acuta indagatrice del costume italiano femminile del secolo appena trascorso in questa storia vera, traccia un indimenticabile ritratto di una figura poco nota del Risorgimento italiano appartenente a una famiglia dell’alta borghesia milanese. Metilde era nata suddita austriaca nel 1790, cresciuta “nel culto della libertà” portato in Lombardia dal dominio napoleonico, era diventata adulta “al momento dell’esplosione della moda romantica a Milano”. La baronessa Dembowski dotata di una grande fermezza di carattere e di “una grazia invidiabile” fece suoi quegli ideali di libertà e indipendenza che proprio in quel periodo iniziavano ad agitarsi negli animi dei patrioti. Le tante lettere di Metilde e quelle dei suoi corrispondenti, tra i quali Ugo Foscolo e Stendhal, contenute nel volume, sono fondamentali per comprendere la personalità di questa donna, la quale “non è grazie alla sua personale vanità che è passata alla storia, ma alla riconoscenza e all’attaccamento dei tanti che l’anno amata”. Sullo sfondo Marta Boneschi ritrae Milano “che dialoga con l’Europa, parla lingue e dialetti diversi… e comincia a immaginare per sé un destino italiano”. È ammirevole la resistenza illimitata di Metilde nei confronti dei “furori marziali” del generale Dembowski, il suo coraggio e la sua lotta per l’indipendenza personale che s’intreccia con quella per i diritti di libertà del popolo lombardo nei confronti del dominio austro – ungarico. “Però mi abbandono al corrente della mia sorte e delle circostanze; e sarà di me quel che, forse, è già scritto che sia”.
Abbiamo intervistato l’autrice.
Signora Boneschi, che cosa l’ha maggiormente affascinata del personaggio di Metilde Viscontini, dal quale Stendhal trasse ispirazione per il trattato De l’amour?
“La personalità forte, la convinzione profonda nel perseguire quel che ritiene giusto, sia quando si oppone alla prepotenza del marito, sia quando rifiuta di diventare l’amante di Stendhal, sia infine quando tiene testa agli inquisitori del 1821. Ma c’è dell’altro. Mi ha colpito l’intensità del suo attaccamento agli amici, come Ugo Foscolo, verso i quali la sua lealtà è inattaccabile. E anche a Stendhal lei continua a ripetere che è piena di sentimenti di amicizia, ma che questo non significa corrispondere un amore che non sente. Metilde è una donna affettuosa, piena di calore, ma dai solidi principi. Così solidi da rendere la sua vita avventurosa e piena d’imprevisti”.
“La dolce malinconia” e “la gioia schietta, viva, che le usciva dal cuore” di Teresa dell’Ortis, ricordano a Ugo Foscolo le doti spirituali di Metilde. “Anime affini” così Lei definisce il poeta e la baronessa. Quale tipo di sentimento legava questi due personaggi?
“Una sentita amicizia, come traspare dal contenuto e dai toni delle lettere che si scambiano. Si erano conosciuti molto giovani e un po’ sventati, forse, ma proprio per queste particolari circostanze dei loro primi incontri, vedevano in trasparenza l’una nell’altro. È curioso come Metilde cerchi di proteggere Ugo dal suo stesso carattere impulsivo e intemperante, e come dall’altra parte Ugo cerchi di proteggere Metilde quando la vede in difficoltà, fragile, oppressa. Questa è vera, sincera amicizia, nel rispetto delle rispettive personalità”.
Nella prefazione scrive “Metilde è stata una di quelle donne che hanno segnato la strada alle generazioni a venire”. Desidera chiarirci il suo significato?
“Metilde, nata nel 1790, prende molto sul serio i principi che ha appreso, in particolare quello della libertà. Non la considera una parola retorica, ma la applica alla propria esistenza e a quella altrui. Pretende la separazione dal marito, ben sapendo di andare incontro alla disapprovazione del proprio ambiente, perché la sua libertà e quella dei due figli valgono ben più del giudizio della buona società. E quando si tratta di battersi per la libertà del suo paese, non esita a dare tutto quel che può, anche a rischio della tranquillità e, di nuovo, senza curarsi di quel che pensa la gente. In questo senso, Metilde è un esempio di indipendenza, di autonomia e di coraggio. Ancora oggi molte italiane, anche giovani, ritengono che l’obbedienza, il conformismo vengano prima di tutto, per amore della tranquillità. Ancora oggi molte donne preferiscono non osare di essere diverse, e rinunciano a combattere per un futuro migliore. Imparare da Metilde, che per questo suo coraggio è stata amatissima, sarebbe ancora utile, a distanza di due secoli”.
Giulia Beccaria protagonista di Quel che il cuore sapeva, Metilde Viscontini ne La donna segreta, si ribellano al destino che le famiglie hanno tracciato per loro. Che cosa ne pensa?
“Amo moltissimo Giulia e Metilde, come fossero care amiche. La penso come loro, perché hanno anteposto l’affetto, l’amore, il calore umano a ogni altra cosa. L’una e l’altra si preoccupavano di “quel che penserà la gente” ma, al momento di compiere una scelta, prendevano la strada che ritenevano giusta per sé e per gli altri. E per questo Giulia fu amata dal figlio, dalla nuora, dai nipoti, dagli amici e condannata dai bigotti. Per questo di Metilde sono sparite molte tracce, distrutte dai parenti che si vergognavano di lei. Ma anche Metilde era apprezzata e amata, fino a diventare una figura immortale nelle opere di Stendhal. Tutte e due ci insegnano che, se vogliamo lasciarci influenzare da ‘quel che penserà la gente’, resteremo sempre nell’oscurità, opache figure senz’anima”.
In questo momento storico vi è un gran dibattito intorno alla condizione femminile. Più di dieci anni fa con Santa Pazienza ha descritto la condizione delle donne italiane dal secondo dopoguerra a oggi. Dall’uscita del saggio secondo Lei è cambiato qualcosa?
“Gli ultimi cinquant’anni hanno portato un cambiamento irripetibile nella vita delle donne. Si sono, almeno in parte, realizzati i sogni delle precedenti generazioni femminili. Ma la società italiana conserva pieghe arcaiche, di autentico disprezzo per il ‘secondo sesso’. E queste sono emerse, con le loro conseguenze poco piacevoli, di recente, aiutate dal populismo, dalla cattiva televisione, dai pessimi esempi di certe donne ‘in carriera’, furbe più che intelligenti, e violente come i maschi. A questa cultura misogina non si è contrapposto nulla, se non a tratti il vecchio femminismo separatista degli anni Settanta, impotente a far fronte ai problemi reali. I problemi reali delle italiane oggi sono il lavoro che dà dignità e indipendenza, non si trova e, se si trova, è mal pagato a parità di mansioni; le cure domestiche e familiari, che sono sempre più sulle loro spalle; la scuola, che di rado è a tempo pieno oppure costa molto denaro e che comunque i ragazzi sono incoraggiati a non prendere troppo sul serio. Il diritto a un lavoro, a una famiglia, ai figli sono tornati a essere un sogno. E la società manda messaggi poco incoraggianti. Dice la Chiesa: fate più figli, siate angeli del focolare. Dice la politica: facciamo leggi contro la violenza sulle donne. Sono messaggi di colpa e di paura, non di aiuto concreto, e tanto meno di rispetto per le grandi potenzialità femminili. Oggi abbiamo bisogno di idee nuove e di donne che le mettano in pratica, insieme agli uomini, convinti tutti che bisogna cambiare insieme. Quel che è intollerabile nel mondo moderno è che esistano ancora maschi che si vantano di prendere le donne, in stile ‘usa e getta’, e che questo sia premiato dalla pubblica opinione. A tale barbarie si era opposta Metilde Viscontini, e non posso che commuovermi a ripensare alla sua storia”.
Marta Boneschi è nata a Milano, dove ha lavorato come giornalista per oltre un quarto di secolo e dove oggi studia e scrive. Ha esordito come scrittrice nel 1995 con Poveri ma belli (Mondadori), Premio Donna Città di Roma per l’opera prima, sull’Italia degli anni Cinquanta. In seguito ha pubblicato La grande illusione (Mondadori 1996) sugli anni Sessanta, Santa Pazienza (Mondadori 1998) sulle donne italiane, Senso (Mondadori 2000) sulla trasformazione dei costumi sessuali, Di testa loro (Mondadori 2002) dieci biografie di grandi donne del Novecento, Quel che il cuore sapeva (Mondadori 2004) storia di Giulia Beccaria (Premio Manzoni città di Lecco), Milano, l’avventura di una città (Mondadori 2007).
Autore: Marta Boneschi
Titolo: La donna segreta
Editore: Marsilio
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 18 euro
Pagine: 240