All’inizio de “Il gioco delle parti. Vita straordinaria di Luigi Pirandello” (Longanesi) di Matteo Collura, si legge che presso la stazione ferroviaria di Amburgo l’ultimo treno per Stoccolma era fermo al binario pronto per partire. Due uomini “infagottati nei pesanti cappotti, il capo protetto da eleganti cappelli” erano saliti sul vagone letto. Dopo essersi accomodato sul divano letto, il più anziano dei due passeggeri “dall’aria afflitta” rimasto solo scoppiò a piangere, si accorse di essere all’improvviso “stanco di tutto, della vita stessa”.
Nelle prime ore del pomeriggio dell’otto dicembre 1934 Luigi Pirandello era diretto nella capitale svedese, dove due giorni dopo avrebbe ricevuto dalle mani del Re di Svezia Gustavo V “vero uomo nordico, alto, algido, lieve nei movimenti aristocratici” il Premio Nobel per la Letteratura. “Il prestigioso riconoscimento” ottenuto dopo anni spesi scrivendo commedie, novelle e romanzi memorabili in quel momento, però, non sembrava avere importanza per lo scrittore/drammaturgo. Marta Abba la donna che Pirandello ama non è e non sarà accanto a lui nemmeno in Svezia. “Non ci sarà più nei giorni che sente conclusivi della propria vita”.
Matteo Collura ricompone con passione e puntiglio l’esistenza straordinaria di Luigi Pirandello “le plus grand écrivain d’Italie”. Sono le circa 560 lettere alla giovane attrice “da lui plasmata” Marta Abba, la “sua luce”, redatte dallo scrittore che fanno comprendere come la produzione artistica del Maestro rispecchiasse perfettamente la sua vita come in un gioco di specchi. Proprio ciò che intende dimostrare l’autore agrigentino cioè che l’uomo e l’artista Pirandello pur essendo due diverse entità possiedono una sola anima. Ecco nascere la comunione tra autore e personaggi i quali possono essere uno, nessuno o centomila, ma ciascuno di loro porterà in scena un po’ della vita di chi li ha creati. Forse è proprio questo che rende l’opera pirandelliana moderna ed eterna allo stesso tempo, quella continua introspezione psicologica, la sottile arte del dubbio, la finzione, il fingere di sapere di non sapere che continua ad affascinare i lettori di tutto il mondo. L’artista “al culmine della fama, il drammaturgo cui il mondo guarda come al vero, unico grande innovatore del teatro” si trovava nel salone del Palazzo dei Concerti a Stoccolma. Egli era fermo sullo scalino in attesa di essere chiamato per la premiazione, mentre l’orchestra intonava “le note solenni” dell’Egmont di Beethoven.
In quegli istanti il Maestro ripensò certo a quando era bambino, all’innocenza e allo stupore di allora. Collura immagina che in quei momenti indimenticabili accanto a Pirandello ci sia stato Luigi bambino e che i due si fossero tenuti per mano. Tutto questo per rappresentare come il drammaturgo partito da “quelle quattro case ammucchiate” sia potuto giungere davanti a “tutto quel fasto” e sedere sul “monte dei pinguini” insieme ai membri delle accademie e ai premiati da loro scelti. Nel discorso di ringraziamento pronunciato in francese “semplice privo di retorica” Pirandello tra le altre cose disse “per riuscire nelle mie fatiche letterarie ho dovuto frequentare la scuola della vita”.
“Il Maestro e Marta Abba si erano conosciuti nel 1923 al Teatro Odescalchi di Roma… ”. Siamo nelle pagine centrali del volume che descrive il rapporto platonico che unì il Premio Nobel alla nipote dello scrittore e patriota Giuseppe Cesare Abba. Lei bella, sensuale e desiderabile fu colpita dallo sguardo dello scrittore, anche se a Marta lo scrittore appariva anziano. Per lui la giovane era “la donna che aveva atteso tutta la vita”. Il destino si era compiuto, Pirandello aveva trovato la sua Musa, alla quale avrebbe dedicato Come tu mi vuoi: “Io ti vedo sempre, Marta mia, per codeste vie dell’immensa città, camminare disinvolta con le tue belle spalle… ”, “La mia arte per vivere ha bisogno di te”. Ma in una notte “atroce” dell’autunno del ’25 durante una tournée in un albergo di Como Marta respinge Pirandello. Genialità, fragilità, tragedia, fatalismo.
Questa fu l’arte e la vita di Pirandello che morì a Roma il 10 dicembre 1936 e le cui ceneri furono murate a poca distanza della sua casa natale nella contrada di Caos in “una rozza pietra” come lo stesso Pirandello aveva disposto. La domanda esistenziale di Blaise Pascal diventò il faro guida del drammaturgo, fonte di ispirazione de Il fu Mattia Pascal “Io non so perché venni al mondo né come, né come sia il mondo, né cosa sia il mio corpo, né cosa io stesso mi sia. E s’io corro a investigarlo, mi ritorno confuso d’una ignoranza sempre più spaventosa… Io non vedo da tutte le parti altro che infinità le quali mi assorbono come un atomo”.
Luigi Pirandello era nato il 28 giugno 1867, secondo di sei figli, in una casa colonica in località Caos “io dunque sono figlio del Caos; e non allegoricamente ma in giusta realtà” presso Girgenti (Agrigento). Il padre Stefano aveva condotto la moglie Caterina Ricci Gramitto prossima al parto in quel luogo per sfuggire a un’epidemia di colera. La famiglia del padre dello scrittore ligure di origine era di agiata condizione borghese, possedeva nella zona alcune miniere di zolfo, e di tradizione risorgimentale. Stefano Pirandello aveva combattuto in Aspromonte seguendo l’avventura garibaldina. La passione per le belle lettere germogliò presto nell’animo di Luigi. Durante un viaggio a Bonn lo scrittore conobbe Jenny Schulz – Linder, il suo primo amore, anche se era fidanzato con la cugina Lina di quattro anni più grande di lui. Il matrimonio con Maria Antonietta Portolano, figlia di un ricco socio del padre celebrato nel gennaio del 1894 nella Chiesa di Sant’Alfonso a Girgenti non si rivelò felice, tutt’altro. Il disagio mentale di Maria Antonietta si fece con il passare del tempo sempre più acuto tant’è vero che al momento della premiazione a Stoccolma la donna era rinchiusa da anni in manicomio. Da questa infelice unione che condizionò l’opera artistica di Pirandello, erano nati tre figli Stefano (Stenù) il primogenito “il primo a conoscere novelle, romanzi, commedie”. Stefano diventò commediografo con lo pseudonimo di Stefano Landi “il mio lavoro è scrivere, esprimere scrivendo la vita che sento”. Gli altri figli erano Lietta e Fausto, pittore di chiara fama. “I nipoti, come del resto da alcuni anni anche i figli, non avevano goduto della sua presenza… distratto… dalle vicissitudini della vita e dal richiamo dell’arte”. Nella biografia non mancano i continui riferimenti alle opere immortali di Pirandello, il quale per descrivere un suo personaggio rievocava un momento della sua vita, una persona cara come la dolente Madre dei Sei personaggi in cerca d’autore che ricorda “l’immagine stessa del dolore” di Antonietta Portolano. Questa commedia, portata in scena nel 1921, fu “il frutto di un’idea nuova, rivoluzionaria del teatro”. Collura narra anche del controverso rapporto di Pirandello con il regime fascista e con Mussolini il quale gli aveva promesso invano la creazione di un Teatro Nazionale di prosa a Roma. Collura lascia capire che lo scrittore peccò d’ingenuità nel fidarsi di Mussolini che lui ammirava.
Matteo Collura è nato ad Agrigento nel 1945. Biografo e intimo amico di Leonardo Sciascia scrive articoli di cultura per Il Corriere della Sera e vive a Milano. Tra i suoi libri pubblicati ricordiamo: Il Maestro di Regalpietra – Vita di Leonardo Sciascia (Longanesi 1996 – Tea 2000), Eventi – Il racconto dell’Italia del Novecento (Longanesi 1999; con il titolo Novecento, Tea 2008), Qualcuno ha ucciso il generale (Longanesi 2006), L’isola senza ponte (Longanesi 2007; Tea 2009), Sicilia sconosciuta (Rizzoli 2008).
Autore: Matteo Collura
Titolo: Il gioco delle parti
Editore: Longanesi
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 18,60 euro
Pagine: 339