Hans Belting, storico dell’arte tedesco di lunghissimo corso, ha scritto libri sempre assai interessanti benché non tutti convincenti allo stesso modo. Specchio del mondo. L’invenzione del quadro nell’arte fiamminga (Carocci editore) appare ora in traduzione italiana a più di vent’anni dalla sua pubblicazione.
Il quadro nell’arte fiamminga appare nell’indagine di Belting come un territorio da esplorare in diverse direzioni (una di particolare interesse: la connessione fra specchio e pittura) Nella misura limitata di un oggetto si ridefinisce una mappatura del mondo, del quale – giusto il titolo – se ne fa specchio. Che logicamente non riproduce mai la realtà per quella che è ma in un qualche modo è costretto a reinventarla – Jan van Eyck è il nome decisivo. Eppure, nel caso dei fiamminghi lo sforzo di riprodurre (trasferire nel quadro la realtà) è convinto sino all’ostinazione poetica. Da qui il naturalismo che subito si complica però con un’insinuante, enigmatica lingua “altra” che adombra nei dipinti un valore simbolico e misterioso.
Ma prima ancora per Belting c’è l’oggetto quadro: esso “e la pittura non sono la stessa cosa”. Gli artisti fino ai primi del ‘400 dipingevano “anche sulle pareti o sulle pagine di un libro”. Per coglierne la novità si utilizzarono le metafore dello specchio, appunto, e della finestra (non è possibile pensare ai dipinti come era stato fino ad allora, come a parte integrante dell’ambiente – difatti perlopiù i quadri risultano anche oggetti trasportabili. E prodotti per una nuova clientela, la borghesia). Ora, uno spazio di lavoro nuovo, comporta una riflessione inedita sulla forma, sul cosa e sul come del quadro. Dai quesiti materiali si trascorre all’arte, com’è ovvio in ogni prospettiva che non si dica idealistica. Ne emerge per esempio un inedito interesse per il ritratto. Col che, la borghesia stessa si candida a classe sociale degna di essere rappresentata e al contempo, proponendosi nel ruolo di committente, mostra di avere le carte in regola per meritarlo. Scartando peraltro il repertorio di immagini ideali in cui si antologizza la figura dell’uomo di corte, si fa un passo avanti deciso verso il realismo (quando necessario ci si affida all’autorità di uno stemma araldico per confermare l’esistenza empirica del rappresentato e insieme la ragione nobile del quadro stesso). Ma non diamo al tema della classe sociale importanza soverchia – semplicemente si apre una riflessione (e un gesto estetico) sull’uomo “in quanto tale”.
Di più, a complicare l’importanza storica dell’esperienza fiamminga c’è la questione dello sguardo, “il motivo che per primo entra in gioco. Colui che è rappresentato nel quadro guarda verso l’esterno, mentre noi spettatori guardiamo dentro il quadro”. Gli occhi dei soggetti dipinti stanno lì non come segni fra gli altri ma – convenzionalmente, “specchio dell’anima” – interrogano oggi come allora lo spettatore. Di lì, dentro la connessione mai risolvibile sino in fondo fra interiorità e svelamento, sguardo e percezione, la sottile, fertilissima inquietudine che ne deriva. Le analisi più consistenti riguardano come detto l’opera di Van Eyck, van der Weiden, e il cambiamento di rotta dell’immaginifico Bosch.
Moltissime le illustrazioni a colori e di buona qualità. Un libro di ottima fattura editoriale insomma, come tradizione del benemerito Carocci, e di sostanziale importanza sull’argomento.
Hans Belting ha insegnato nelle Università di Heidelberg e di Monaco e alla Hochschule für Gestaltung di Karlsruhe, che nel 1992 ha contribuito a fondare. Nel 2003 ha ottenuto la cattedra europea al Collège de France di Parigi. Dal 2004 al 2007 è stato alla guida dell’Internationale Forschungszentrum für Kulturwissenschaften di Vienna. Nel 2015 ha vinto il Premio Balzan perla storia dell’arte e delle immagini
Autore: Hans Belting
Titolo: Specchio del mondo – L’invenzione del quadro nell’arte fiamminga
Editore: Carocci
Anno di pubblicazione: 2106
Pagine: 227
Prezzo: 23 euro