Diciamolo subito, in una storia dell’umorismo in letteratura, densissima, di larga e robusta strutturazione, non ti aspetti di trovare il nome di Francesco Petrarca. La sorpresa dà forse la misura della complessità teorica del saggio L’umorismo letterario (Una lunga storia europea (secoli XIV-XX).
Dunque, cosa c’entra Petrarca? Il primo sostegno argomentativo dell’autore, lo studioso Giancarlo Alfano, alla luce del dettato, appare meno avventuroso di quanto si possa pensare in prima battuta: la dottrina degli umori nel Medioevo la faceva da padrone e Petrarca ben conosceva la tradizione che l’aveva prodotta. Più interessante è il fatto che essa indica la strada per un concetto fondamentale: quello di fluttuazione. Perché nell’intreccio fra le ragioni del corpo e quelle della psiche attraversato dagli umori, niente risulta stabile o definitivo, ma tutto si inscrive in una soggettività mutevole e fagocitante, imprevedibile. Essa dà la stura al discorso (al racconto) umoristico, la condiziona dall’interno, la determina, e avvia di fatto una conversazione che implica “una risposta del lettore”.
Alfano utilizza una sistematica erudizione che dalla congruità e variabilità semantica del lemma “umore”, trascina a sua volta il lettore in una enciclopedica storia che non investe il mero dato letterario ma chiama in causa un certo modo di “vedere” le cose del mondo prima che la maniera di raccontarle. La nozione stessa si fa assai ampia, finendo in zone cruciali dell’esperienza umana non limitate al riso puro e semplice (che tale non sarebbe stato – soccorrono al lettore di queste note banali memorie scolastiche – nemmeno per Pirandello). Dalla capitale teoria degli umori alla Crusca secentesca, passando per Littré, per il Burton dell’Anatomia, per Montaigne (consapevole che il pensiero non è staccato dal corpo e dalle sue urgenze), o per il mirabile Sterne del grandioso Tristam Shandy, o attraverso la locura del Chisciotte, l’eccesso, lo squilibrio, e persino (che non appaia paradossale) la manìa, il troppo sentire dei romantici, fanno del malinconico un tipo adattissimo al discorso umoristico.
Teofrasto lo avrebbe chiamato carattere, ché in età classica questa riflessione com’è noto è già iniziata, basti pensare a Platone e Aristotele, o al falso (ma indiziario) racconto su Ippocrate che decifra nel riso distaccato di Democrito dalle cose umane una disposizione peculiare (filosofica) quale anticamera di questa soggettivazione del discorso, tipica dell’umorismo e sostanzialmente opposta alle norme della retorica antica (nella quale tutto doveva emergere tranne “le variazioni, le fluttuazioni, le modifiche del proprio stato d’animo”). Se essa pretende un oratore distintamente separato dal suo pubblico, nell’umorismo la compartecipazione del lettore è inevitabile, anzi cercata e sobillata; per questo Alfano può insistere sul concetto di conversazione che idealmente si delinea come un fattore costitutivo del racconto umoristico.
Ma se l’investigazione non può tacere dei grandi manuali rinascimentali italiani (da Guazzo a Castiglione), ovvio che si tratta qui di conversazioni sbilanciate (come dire, “umorali”…), ricche di digressioni, ribaltamenti improvvisi, deviazioni inaspettate, come lo sono le interconnessioni imprevedibili fra mente e corpo. Il soggetto è innanzitutto un corpo – e non c’è bisogno di arrivare al carnevalesco di Bachtin. Mentre parla, prova a spiegare perché lo fa in un certo modo e perché potrebbe darsi che cambi tono o registro subito dopo – il tempo stesso può procedere al contrario, e il narratore nel vedersi vivere mette in guardia l’interlocutore sul racconto che gli sta facendo. I maestri? Be’, gli inglesi hanno un posto di rilievo, accanto a Sterne (cui Alfano dedica naturalmente molte pagine) almeno ricordiamo Fielding o Dickens; c’è poi una tradizione tedesca tutt’altro che trascurabile, da Jean Paul a ETA Hoffmann – di italiani si parla poco, qualche nota su Aretino o Dossi o Gadda. Ma si tratta di un lavoro di notevole profondità teorica e argomentativa, quello di Alfano, da considerare preliminare a qualsiasi regesto descrittivo futuro.
Giancarlo Alfano insegna Letteratura italiana all’Università “Federico II” di Napoli. Tra i suoi libri più recenti: La cleptomane derubata. Psicoanalisi, letteratura e storia culturale tra Otto e Novecento (Trento 2012); Ciò che ritorna. Gli effetti della guerra nella letteratura italiana del Novecento (Firenze 2014).
Autore: Giancarlo Alfano
Titolo: L’umorismo letterario. Una lunga storia europea (secoli XIV-XX)
Editore: Carocci
Anno di pubblicazione: 2016
Pagine: 351
Prezzo: 29 eurp