“Una luce quando è ancora notte” di Valentine Goby (Guanda 2015) è un libro che fa soffrire, dalla prima all’ultima pagina. Ogni libro sui campi di sterminio nazisti non può che è essere doloroso, ma questo lo fa in modo quasi fisico, perché riguarda le creature più indifese e ignare: i neonati. Nel campo di concentramento di Ravensbruck, nel Nord della Germania, furono infatti internati solo bambini e donne. Di queste, alcune erano incinte e partorirono, tra immani stenti e privazioni, all’interno del campo. Pochissimi dei neonati venuti al mondo nel lager riuscirono a sopravvivere: secondo alcune statistiche (http://goo.gl/tI28c7) circa 500 bambini nacquero nel campo, e di questi solo cinque sopravvissero. Valentine Goby, basandosi su testimonianze di deportate, racconta la storia di Suzanne, detenuta politica che partorisce il suo bimbo nel campo alla fine di settembre del 1944.
La vita a Parigi, il lavoro in un negozio di partiture musicali, l’impegno nella resistenza non esistono più per Suzanne: c’è solo il tempo presente, come al presente – un presente ossessivo, doloroso, che non ci fa sfuggire – è scritto il romanzo. Il presente ci fa sentire lì, al posto suo all’appello del mattino nella piazza del lager, nel gelo dell’alba, nel lavoro durissimo, tra i crampi di fame, la puzza, lo squallore, sui pagliericci in cui si dorme in due o tre, cercando di scaldarsi a vicenda soffiandosi sulla schiena. Il presente racconta la pancia invisibile della protagonista, tutta sua come è per ogni donna il proprio bambino prima che nasca, ma a maggior ragione come può esserlo per un’internata in un campo di concentramento: un segreto piccolo, grandissimo, prezioso che sfugge allo squallore, alla fatica, al dolore, alla morte, perché per almeno nove mesi nessun SS potrà avere potere su di esso. E fa quindi sentire ancora umani, in possesso della propria vita.
È un libro che fa male perché fa male leggere di come si può partorire in un lager, di come può nascere e vivere le sue ore, i suoi giorni un neonato in un lager. In una “kinderzimmer”, la stanza dei bambini – nome così bello che nasconde una realtà così terribile – sopravvivono i neonati del campo: al gelo, morsicati dai topi, senza latte. Creature minuscole, già vecchie e rugose, dalle gambine sottili e bluastre, destinati quasi tutti a morire. Non c’è pietà nemmeno per i piccoli della terra. Ma c’è a tratti, in pagine di commovente bellezza, la speranza: quella che fa vedere, anche nella disperazione, la bellezza di uno scintillio della neve, della luce di cristallo del mattino, di un gesto amico. E questo vedere ancora la bellezza, la dolcezza che resta nella vita, prelude alla speranza e annuncia la liberazione.
Valentine Goby, nata a Grasse nel 1974, è autrice di otto romanzi e di numerosi libri per ragazzi. Con Una luce quando è ancora notte ha vinto nel 2014 il Prix de Libraires.
Autore: Valentine Goby
Titolo: Una luce quando è ancora notte
Editore: Guanda
Pubblicazione: 2015
Prezzo: 16 Euro
Pagine: 228