L’interesse di Tzvetan Todorov per l’epoca dei lumi non è nuovo; né lo è quello per la pittura. Dopo aver mostrato in un libro recente le contraddizioni ideologiche nella grandezza di Goya, lo studioso di origine bulgara persegue il suo obiettivo dichiarato anni fa di scrivere una sorta di storia dell’illuminismo attraverso l’arte nel bellissimo volume di grande formato, edito come sempre da Garzanti, La pittura dei lumi.
Todorov cerca in una serie di opere – di varia fama – tracce non necessariamente consapevoli (anzi…) di una svolta del pensiero occidentale, quella illuministica, che ai suoi occhi continua a essere fondamentale. In verità, ci avverte, si tratta più di uno Zeitgeist che di un pensiero; e il punto di giunzione di questi quadri a loro modo emblematici sta secondo Todorov in un’arte che sceglie di rappresentare gli uomini – e le donne, e i bambini – di ogni genere ma di questo mondo, e non di rado confinati “ai margini della società”. Inoltre, di queste vite umane molto umane “viene rappresentato tutto”: miserie e nobiltà dell’esperienza, la vita quotidiana attraverso l’amore, le relazioni sociali, i conflitti, l’arte stessa, fra il teatro, la danza, la musica – nonché la pittura, va da sé. Più di tutto, in questo spirito del tempo sembrano contare le leggi di natura e una legittima ricerca di felicità libera dall’ansia religiosa.
Ora, l’arte in esame predilige la pittura di genere (vita quotidiana e gente comune) e pone in secondo piano la figura storica (che comprende anche i soggetti mitologici o religiosi), ancora preferita nella cultura dell’Anciene Régime. Il conflitto in questione fra questi tipi di pittura diventa parte della causa di un’opposizione culturale più ampia, in cui la vittoria della prima non è per niente scontata, come testimoniano le perplessità di un radicale come Diderot.
Il libro di Todorov non è privo di sorprese. Se la fanno da padroni Hogart e Watteau – il che non stupisce –, ossia l’ironia e la sensualità, va detto che raramente si è data così tanta importanza a un pittore come Magnasco, per esempio, artista di opere cupe, grottesche, ossessive. I suoi quadri quasi monocromatici di reietti, criminali, carcerati raccontano scene popolaresche ma tutt’altro che ingenue, inquadrate in cornici di sapiente teatralità (opere che andrebbero sottoposte ai fotografi oggi impegnanti nel cinema). Laddove lo stile con cui racconta i miserabili Giacomo Ceruti appare meno fantasioso e più asciutto. Tutt’altro clima nell’aereo, celebre L’indifferente di Antoine Watteau del 1717, non ignoto a Marcel Proust che scrisse un racconto dallo stesso titolo. L’uomo, il ballerino che sembra giocare ironicamente con il mondo, e con lo spettatore, appare finalmente estraneo a qualsiasi metafisica, consapevole dell’illusorietà del mondo. Watteau amava i teatranti – italiani in specie, quelli della commedia dell’arte – e li rappresentava come se anch’essi fossero consapevoli della natura ambigua del loro mestiere, sospeso fra realtà e finzione. Ché la commedia è il gioco stesso del mondo, del vivere. Le feste galanti ne sono un emblema. Amore e seduzione si avviano a diventare arti sottili che preparano le grandi strategie – persino retoriche – del ‘700 ludico ed erotico (difatti non mancano i nudi femminili).
Nei ritratti invece – per esempio in quelli di Rosalba Carriera o di Quentin de La Tour – la pittura del tempo cerca un tratto distintivo che connoti l’identità particolare di ognuno. Anche se essa dovesse risolversi – per il perpetuo oscillare fra realtà e finzione – in quella di una maschera, Pulcinella su tutte, da Magnasco, ancora, a Tiepolo. Così anche il paesaggio si stacca dagli ideali platonici di una bellezza codificata una volta per tutte e cerca le variazioni contingenti (di luoghi e di luce) e sensazioni determinate – valga per tutti un Thomas Gainsborough (anch’egli peraltro autore di ritratti, soggetti che continuavano a essere preferiti dal pubblico). E, come per il pittore inglese, anche per Francesco Guardi il paesaggio vale di per sé, senza dover esser nobilitato da una qualche aneddotica. Non manca la natura morta, o l’invenzione inquieta di spazi immaginari come le Carceri di Piranesi, prodigi umani con cui la specie infligge pene terribili a se stessa – sembra quasi di intuire, diremmo noi, la Dialettica di Adorno. Cosa che potrebbe dirsi in un certo senso anche di Goya, che ritorna in questo studio – ultimo, non a caso, perché ci si avvia verso un’ulteriore fase della storia – dopo la bella biografia dello stesso Todorov. Inutile aggiungere che l’apparato iconografico del volume è di prim’ordine.
Tzvetan Todorov
La pittura dei Lumi
Traduzione di Emanuele Lama
Garzanti
2014
Pagine 210
110 Illustrazioni a colori
Euro 42,00