Spregamore

spregamoreNon è semplice parlare di Spregamore, un romanzo che poco ha da spartire con la produzione narrativa corrente. Il libro di Paolo Del Colle, scrittore appartato e parco ma vero, è un libro esigente. Non si atteggia a tale, non “fa” il difficile, non esibisce un lessico prezioso per stupire o ammaliare il lettore. Né, per fortuna, pretende di squassare il mondo e proporsi come una qualche avanguardia estetica che ne faccia deflagrare la cornice percettiva per mostrarcelo in un altro modo.

O meglio, lo farebbe anche – implicare nella lettura altri modi per guardarlo (altrimenti, cosa distinguerebbe la letteratura dall’intrattenimento?) -, ma in un modo tutto suo, senza alcun fragore e, soprattutto, nessuna inutile velleità ideologica. Il romanzo di Paolo Del Colle cerca caso mai il punto in cui letteratura e vita (il suo nucleo doloroso, che sarebbe riduttivo chiudere nell’inevitabilità della morte) trovano una giunzione apicale. L’idea (parole in privato dell’autore): “esprimere il dolore con la ‘letteratura’, per portare entrambi su un baratro in cui finalmente potessero specchiarsi”.

Ma se Del Colle non fa e non cerca intrattenimento,  è anche vero che non spaccia in giro quella falsissima moneta di certa romanzeria degli ultimi anni (specie, va detto, se a scrivere sono donne): il dolorismo. L’esistenza a dir poco sofferta del suo protagonista, la vulnerabilità estrema con cui vive un’opaca, a tratti sinistra e a tratti surreale quotidianità fatta di tristezze domestiche, un senso incombente di disfazione aggravato da malattie di uomini e bestie, tutto questo è detto senza alcun elemento consolatorio e alcun vittimismo – oggi imperante quanto insopportabile -, prendendo di petto il brutto della vita materiale con una franchezza rara – rara perché  al piacere del lettore non concede nulla, nemmeno quell’estetica del male (il nero compiaciuto) che fa la fortuna di altri libri… Qui si espongono pance dilatate e sudaticce, carni molli (e incongruenti membri maschili eretti nei momenti sbagliati), escrementi di animali, edemi e cateteri di una madre morente. Nel travaglio di questa madre e dell’uomo che l’assiste, culmina il non-senso  della vita, l’inutile dolore di cui è fatta e persino l’inutilità del gesto amoroso (giusta l’osservazione di Andrea Caterini che ha scritto una postfazione al libro). L’ottica è idiosincratica, sì (lo sguardo del protagonista e voce narrante sulle cose è talmente compreso in se stesso da risultare difficile da sostenere – “ognuno sogna all’interno del proprio insensato e solitario dolore”) ma paradossalmente onestissima. Perché la più vera possibile. La scrittura lancinante aderisce precisamente alle cose con la stessa ineluttabilità con cui il narratore annaspa nella storia (nella vita): in un’aria spesso limacciosa, dentro abitazioni e muri umidi che emanano cattivi odori di urina e muffa,  in una sfrangiata periferia romana abitata da cornacchie voraci e animali che si spiaccicano contro automobili e camion.

In una vita che sembra solo aspettare il suo epilogo, la crudezza della rappresentazione sa scostarsi però da un banale appiattimento realistico attraverso uno slittamento vagamente allucinatorio. Che sia frutto di terribili emicranie o l’effetto di una sensibilità debordante lo scarto a tratti risulta più acuto – il protagonista sembra vivere in una sorta di incubo a suo modo lucido. Ma lo straniamento non ha nulla del conforto del saperlo momentaneo: l’espressionismo, più della psiche che dello stile, acutizza la percezione, dunque non lascia scampo.

Spregamore esige pertanto una lettura da svegli: il che di questi tempi non è detto. Per farsi leggere di questi tempi anche scrittori rispettabili si accasano in una scrittura lasca, di parole e immagini di un’evidenzia immediata non nel senso della perizia visiva ma in quello più grossolano della pigrizia corriva obbligata dal bisogno di non stancare il lettore – poverino: che lo porti proprio dove si aspetta di andare, sorpresa compresa del colpo di scena che essendolo di default non muove un grammo dell’esperienza. Spregamore è un libro esigente perché pretende un lettore paziente e coraggioso, perché non concede nulla; Spregamore è un libro che certo è costato un prezzo all’autore ma implica un lettore disposto a esserne tramortito. Se questa non è letteratura, ditemi voi quale lo è.

 

Autore Paolo Del Colle

Titolo Spregamore

Editore Gaffi

Anno 2014

Pagine 153

Euro 14,00