In leggero anticipo sul film di Martone dedicato a Leopardi, l’editore Archinto manda in libreria Amicizia e passione (Giacomo Leopardi a Napoli), un lavoro di ricerca più da psicologo che da storico che lo scrittore francese conduce sugli ultimi anni di vita del nostro maggiore poeta-filosofo e sul rapporto che egli ebbe con Antonio Ranieri.
Rapporto sul quale com’è noto le congetture non sono mai mancate. Ora, la scrittura vaporosa di De Ceccatty, il tirarla un po’ per le lunghe, il tono dubitativo coniugato a un certo andamento rapsodico (spesso il racconto torna indietro agli anni della giovinezza in cerca di indizi che spesso non approdano a conclusioni definitive), non sembrano fare del suo libro un lavoro sfacciatamente a tesi, non articolato com’è su un’impostazione logico-argomentativa serrata, quanto su insistenti digressioni, escursioni fuori scena, dubbi sistematici: perciò, come abbia fatto Sebastiano Vassalli in una nota sul “Corsera” a intravedervi una precisa presa di posizione secondo cui nell’amicizia di Ranieri per Leopardi non vi sarebbe stato altro che “un’anticamera dell’omosessualità”… lo possiamo spiegare solo con il fatto – giusta la confessione dello scrittore piemontese – di aver abbondonato presto la lettura.
L’amicizia fra Ranieri e Leopardi fu certo speciale, ma va spiegata probabilmente in altro modo. Da una parte, quella di Ranieri, il desiderio di fare il meglio possibile per un genio riconosciuto come tale, dall’altra un affetto profondo che vi si affidava con tutto il peso di una solitudine straziante e perenne – per giunta salva proprio da quella tentazione carnale che in Leopardi non poteva trovare facile accampamento sì da sfrondare una vera relazione umana e affettiva dall’ingombro drammatico di un corpo che le proprie pulsioni – per fin troppo e penosamente noti motivi – era costretto ad ammazzarle nella culla. Che poi, potesse sublimarle nella fortuna erotica dell’amico che si portava a letto le donne che lui, Giacomo, nemmeno osava sognare di sfiorare, è possibile – ma essenziale? Per non dire che da più parti Leopardi aveva definito “infame” il rapporto fra uomini.
Il lavoro dello scrittore francese fra le righe dell’indagine specifica annota altri elementi degni di essere approfonditi. Ha di sicuro il merito per esempio di fare piazza pulita dei vani tentativi di cercare identità empiriche riconoscibili nelle sue poesie – segnatamente quelle in cui è evocato un qualche afflato amoroso. Di più, De Ceccatty si spinge a considerare l’esercizio poetico secondario nell’economia complessiva dell’opera leopardiana (L. che nella sua Crestomazia snobba Dante e Petrarca). Saremmo più cauti al riguardo, ma che vada privilegiato un côté in qualche modo filosofico è concetto che non andrebbe più dubitato. Con l’avvertenza ovvia che non si tratta di un pensiero sistematico, che lo Zibaldone – benché testo fondamentale – si presenta come una congerie di tentativi non conclusi – avrebbe detto Roland Barthes, che il bello è negli inizi – : intuizioni, progetti, linee da sviluppare e che raramente trovano un compimento (ma la teoria del piacere basterebbe per guadagnargli uno spazio importante nella storia del pensiero). Oppure il rilievo dato al comico, a quei Paralipomeni che costituiscono tuttora un testo pressoché sconosciuto – studiosi a parte. Questo povero, grandissimo e disgraziato fratello maggiore di tutti noi sapeva “la potenza del riso”: lo soffrì sulle sue spalle (il caso di dire); sapeva che “chi ha il coraggio di ridere, è padrone degli altri”. Ne sapeva troppe per tenerle tutte in quel corpo martoriato.
René de Ceccatty
Amicizia e passione. Giacomo Leopardi a Napoli
a cura di Piero Gelli
Archinto 2014
Pag 281
Euro 20
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